Perché il dolce tipico di questa festa si chiama “Sfinge”? Le diverse etimologie proposte per il suo nome indicano chiaramente la sua somiglianza con una spugna. Infatti, in latino, il nome metaforico è "spongia" e questa a sua volta deriva dal greco “sfoggia”.
L’estro dei nostri pasticcieri e l’abilità delle suore dei monasteri hanno trasformato questa semplice frittella in un dolce prelibato, dedicandola al Santo protettore degli umili: come umili sono i suoi ingredienti.
I "sfingi ri San Giuseppe", come si chiamano a Palermo, proprio perché consumate in occasione della ricorrenza del santo, hanno alcune caratteristiche particolari, quali una forma irregolare e sono condite con crema di ricotta, grani di pistacchio e scorza d’arancia candita. Qualunque sia il nome che è dato nel dialetto o nella forma, vanno sempre ed in ogni caso fritte in grassi e addolcite con miele o zucchero, così come gli arabi c’insegnarono, soprannominandole “le sfang”. Ancora oggi i nostri contadini e le nostre nonne continuano a farle con la medesima semplice ricetta. Sfincia, sfincitedda e sfinciuni designano a loro volta prodotti diversi, appartenenti ora al salato, ora a quella dolce che designa ugualmente la stessa famiglia delle sfincie.
La ricetta.
Nei paesi del palermitano sono preparate in modi differenti; la ricetta che segue si riferisce alle "sfincie di prescia” approntate a Borgetto fin dall’antichità.
Occorrente:
500 g. di farina 6 uova
200 g. di zucchero 250 g. di latte
25 g. di lievito
olio
Procedimento:
Impastate la farina, con tre uova intere e tre tuorli, unite il lievito sciolto nel latte tiepido e lo zucchero.
Lavorate fino ad ottenere un impasto morbido e lasciate lievitare fino a che l’impasto presenta bollicine in superficie. In olio caldo tuffate poi cucchiaiate d’impasto. Appena dorate, togliete le sfincie, mettetele da parte ad assorbire l’olio in eccesso e spolverate con zucchero.
Per il giorno di San Giuseppe in tutte le case del palermitano si mangia la famosa “pasta con le sarde e i finocchietti" accompagnata da un buon vinello che servirà a gustare meglio i carciofi in tegame con il tappo, meglio conosciuti come carciofi “cà tappa ‘e l’uovo”. Questo è, tradizionalmente, l’ultimo giorno buono per gustare i carciofi; passato il 19 marzo essi cominciano ad acquisire alcune caratteristiche negative per i buongustai, ad esempio la "barba" e una maggiore spinosità.
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