Palermo, 27 ottobre 2011 - Oltre 3.000 test eseguiti in tutta Italia, da Palermo a Milano; 100 strutture ospedaliere registrate; 25 laboratori e 585 operatori sanitari coinvolti. Ecco i numeri dei primi nove mesi di attività del network “EGFR-Fastnet”, sviluppato per standardizzare l’analisi della biologia molecolare del fattore di crescita del tumore del polmone. La ricerca è, infatti, giunta a significativi progressi: specifiche alterazioni molecolari, come le mutazioni del gene EGFR, permettono di individuare i pazienti che risponderanno al trattamento personalizzato con i nuovi farmaci a bersaglio molecolare.
Grazie a queste analisi e alla disponibilità di un trattamento di elevata efficacia e alternativo alla chemioterapia, dopo più di 30 anni privi di sostanziali progressi nelle strategie terapeutiche del tumore del polmone non a piccole cellule (NSCLC), è oggi possibile personalizzare realmente la cura di quello che è ritenuto uno dei big killer dei tempi moderni. Le nuove tecnologie consentono cioè di selezionare i pazienti che potranno tranne benefici clinici dalla terapia con gefitinib - un farmaco a bersaglio molecolare - razionalizzando quindi l’utilizzo delle risorse e controllando con maggiore efficienza la spesa sanitaria.
Nell’ambito del Congresso annuale nazionale della Società Italiana di Anatomia Patologica e Citologia diagnostica (SIAPEC-IAP) - che si sta svolgendo a Palermo fino al 29 ottobre - si discute proprio delle nuove opportunità di personalizzazione della terapia del tumore del polmone, che rappresentano un vero e proprio cambio di paradigma nel trattamento oncologico. “Quello che sta avvenendo oggi per il NSCLC (uno dei tre big killer della patologia neoplastica) costituisce una pietra miliare per l’oncologia dei prossimi vent’anni, - conferma il Prof. Carmine Pinto, UO Oncologia Medica del Policlinico S.Orsola-Malpighi di Bologna. – Poter disporre di un bersaglio specifico, che ci permette, infatti, di selezionare i pazienti sensibili ad un determinato farmaco per evitare tossicità inutili e offrire loro un trattamento più efficace, costituisce un cambiamento rivoluzionario”.
La scoperta che ha permesso ai ricercatori di compiere un importante progresso terapeutico è l’identificazione di un marcatore molecolare, presente nelle cellule tumorali, in grado di predire la risposta e l’efficacia di una specifica terapia. I pazienti le cui cellule tumorali sono positive all’EGFR, cioè presentano le mutazioni del gene EGFR, hanno infatti un’elevata risposta a gefitinib e possono essere trattati, sin dalla prima linea, con questo farmaco a somministrazione orale.
Gli studi con gefitinib hanno infatti evidenziato rispetto alla chemioterapia a base di platino:
• una risposta obiettiva significativamente superiore : 71,2% vs 47,3% (p=0,001) in prima linea e 42,1% vs 21,1% (p=0,04) in pazienti pretrattati;
• maggiore sopravvivenza libera da progressione di malattia (PFS): 10,8 mesi vs 5,4 mesi (p<0,001) in prima linea e 7 mesi vs 4,1 mesi (p=0,0012) in pazienti pretrattati;
• significativi benefici in termini di qualità della vita in prima linea e in pazienti pretrattati;
• migliore tollerabilità,5
• ridotta tossicità in corso di trattamento in prima linea e minor frequenza di eventi avversi correlati al trattamento in pazienti pretrattati: 9% vs 41%.5
La determinazione dello stato mutazionale di EGFR rappresenta quindi un passaggio indispensabile per la completa diagnosi e la sua rapidità di esecuzione è il fattore determinante per la scelta della migliore strategia terapeutica. “Un network come EGFR-Fastnet può rappresentare un importante servizio al paziente e al suo medico curante, perché permette di garantire al paziente stesso la miglior cura attualmente disponibile per la sua patologia, - commenta il Prof. Giuseppe Viale, Direttore Anatomia Patologica IEO, Università degli Studi di Milano. – L’obiettivo è duplice: da una parte garantire i massimi livelli di rapidità e accuratezza possibili nell’esecuzione del test eseguito in laboratori di alto profilo e dall’altra rendere tutto il processo molto più user friendly anche per il patologo locale”.
“Ciò che oggi ci impone questa nuova dimensione è di garantire ai pazienti e ai loro curanti la massima accuratezza possibile nella determinazione dei fattori predittivi - aggiunge il Prof. Viale. - Per fare questo l’anatomo-patologo dev’essere disponibile a riconsiderare e ad affinare ulteriormente le proprie capacità tecniche e interpretative, e anche a misurarsi con il controllo di qualità”.
La disponibilità di un test che accerti lo stato mutazionale dell’EGFR e che offra conseguentemente la possibilità di individuare il paziente che può beneficiare di un farmaco come gefitinib permette oggi ai pazienti di vivere di più, - conclude il prof. Pinto, - di vivere meglio e di avere intervalli di malattia controllati, ciò che in passato non eravamo in grado di garantire loro con la sola chemioterapia”.
“Nel trattamento del NSCLC è avvenuta quindi una vera rivoluzione copernicana, - aggiunge il Prof. Pinto. - Oggi il ‘lavoro di squadra’, il colloquio continuo tra l’oncologo, il biologo molecolare, il patologo, per individuare marker predittivi e per giungere a terapie sempre più avanzate è imprescindibile. È quanto stanno facendo AIOM e SIAPEC in questi anni. Da questo punto di vista, credo che siamo all’inizio di un lungo e importante cammino e quello che è successo per l’EGFR nello NSCLC rappresenta un prototipo che stiamo già importando nel trattamento di molti altri tumori”.
Fonte: redazione palermomania.it
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