Un impiegato di 47 anni di Bagheria (Palermo) e' stato scagionato, dopo avere trascorso un anno agli arresti domiciliari, dalla pesantissima accusa di avere violentato la figlia. La sentenza e' stata pronunciata dal tribunale di Termini Imerese, presieduto da Francesco Paolo Pitarresi, al termine di una storia giudiziaria durata quattro anni e segnata dall'impossibilita', per l'imputato, di avere contatti con i figli, allontanati da casa. Una vicenda che fa il paio con un'altra assoluzione, decisa -per lo stesso reato- da un altro tribunale, a Palermo, proprio pochi giorni fa: anche in quel caso l'imputato aveva dovuto affrontare un'odissea giudiziaria durata nove anni.
L'inchiesta, condotta dalpm Francesca Pandolfi, riguardava fatti avvenuti tra Bagheria, Comune in cui la famiglia risiedeva, e Campofelice di Roccella. Secondo la tesi dell'accusa, la ragazzina -all'epoca tredicenne- sarebbe stata costretta dal padre a subire quelli che un tempo venivano definiti "atti di libidine" e che ora sono assimilati tutti nelle previsioni della severissima legge sulla violenza sessuale. L'indagine scatto' nella primavera del 2003, dopo che la ragazzina, a scuola a Bagheria, si confido' con gli insegnanti, i quali trasmisero subito la denuncia alla magistratura: da qui una decisione del Tribunale dei minorenni, che affido' la ragazzina alla nonna materna. Poi l'uomo, il 15 dicembre di quattro anni fa, venne messo agli arresti domiciliari. Nonostante la gravita' delle accuse, la madre della presunta persona offesa e moglie dell'indagato rimase a vivere con l'imputato, dichiarando di non credere alla figlia.
Nemmeno dalle perizie e' emersa la verita' certa. Il consulente della difesa ha dimostrato che la giovanissima teste e "persona offesa", durante gli esami aveva avuto le visioni. E' mancata cosi' la piena prova, necessaria per condannare e il tribunale di Termini ha accolto le tesi dell'avvocato Giuseppe Gerbino.