La richiesta di scarcerazione di Totò Riina per motivi di salute ha suscitato non poche polemiche. Dare una morte dignitosa a chi l’ha negata a tante altre persone? È subito sembrata una richiesta paradossale.
Al momento la Cassazione si è limitata a rilevare un’insufficiente motivazione da parte del giudice di sorveglianza bolognese che aveva rigettato la proposta di scarcerazione avanzata dai difensori del pluriergastolano di Corleone per motivi di salute. Niente via libera al ritorno di Riina a casa sua, dunque. Bensì una mera censura al modo con cui il Tribunale di Bologna ha motivato la scelta di negare il beneficio richiesto. In secondo luogo, la Cassazione ha criticato in particolare alcuni aspetti del provvedimento. E, mediante la tecnica dell’annullamento con rinvio ad altro giudice, ha chiesto una rinnovata valutazione e motivazione.
Una nuova motivazione che tenga conto degli obblighi imposti dalla nostra Costituzione e dalla Convenzione europea dei diritti dell’Uomo. Come il divieto assoluto di infliggere pene “contrarie al senso di umanità” (art. 27, 3 comma, Cost.) e di sottoporre chiunque “a trattamenti inumani o degradanti” (art. 3, Cedu). Ebbene, secondo la Cassazione il giudice bolognese avrebbe omesso di spiegare “specificatamente” se le modalità di esecuzione della pena nel carcere di Parma siano in grado di evitare uno “scivolamento” verso un trattamento degradante in relazione alla patologia sofferta dal condannato. In altre parole: se occorre un lettino antidecubito per evitare la sofferenza derivante dall’impossibilità di deambulare del detenuto e le dimensioni della cella non ne consentono l’impiego, si trovi un altro spazio detentivo dove invece l’operazione è possibile. Ma certamente non si è tenuti a rimandarlo a casa.
Su un altro aspetto la Cassazione lamenta poi una motivazione insufficiente, e cioè sulla pericolosità del detenuto. Al riguardo i giudici di legittimità si guardano bene dal disconoscere “l’altissima pericolosità” di Riina, ma si limitano a chiedere una valutazione che spieghi meglio come tale pericolosità sia ancora “attuale” in relazione al sopravvenuto “più generale stato di decadimento fisico” in cui versa il detenuto.
Da questo punto di vista, allora, basterà attingere ai pareri delle procure della Repubblica competenti, i quali mettono in luce che, fino a prova contraria, Riina è il capo in carica di Cosa nostra. Se così stanno le cose, non bisogna lasciarsi impressionare, tenere i nervi saldi e continuare ad avere fiducia nella magistratura.
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