Dopo quattro ore di Camera di Consiglio, la Cassazione mette la parola fine sul processo a carico dell’ex senatore Marcello Dell’Utri. Confermata la condanna a sette anni di reclusione per concorso esterno in associazione mafiosa.
Dell’Utri, attulamente agli arresti in Libano dove è piantonato in ospedale dal 12 aprile scorso, ha conosciuto quasi in tempo reale il responso dei giudici che hanno confermato la tesi secondo cui l’ex senatore ebbe rapporti con la mafia palermitana dal 1974 al 1992.
Si è detto “profondamente amareggiato” Giuseppe Di Peri, avvocato difensore di Dell’Utri, che riteneva ci fosse tutto lo spazio “per l’annullamento della condanna”. E, infatti, ha annunciato: “Ora faremo ricorso alla Corte europea di Strasburgo affinché venga valutato se questo processo ha camminato sui binari giusti».
Secondo Di Peri, inoltre, la sentenza di stasera “non cambia nulla per quanto riguarda la richiesta di estradizione: solo il titolo custodiale sarà tramutato in ordine di carcerazione”. La Procura di Palermo, infatti, ha subito provveduto ad emetterlo. Di tutto quanto riguarda le procedure avviate in Libano, però, “se ne occupano gli avvocati libanesi”.
A chiedere la condanna di Dell’Utri era stato il sostituto procuratore generale della Cassazione, Aurelio Galasso, che ha sostenuto come siano stati provati, dalle dichiarazioni dei pentiti, “i rapporti mai interrotti che Dell’Utri ha avuto con le famiglie mafiose palermitane in favore delle quali ha svolto un ruolo di “mediatore” nel patto di protezione personale e delle sue attività, “siglato” nel 1974 da Silvio Berlusconi”.
Il pg, inoltre, aveva sottolineato come “l’accreditamento di Dell’Utri presso Cosa Nostra era tale che arrivò alle orecchie di Totò Riina il suo scontento per i modi troppo pressanti usati dai fratelli Pullarà” per il rispetto degli accordi sul patto di protezione. “Infatti, i Pullarà furono estromessi da Riina - ha proseguiro Galasso - per quanto riguarda lo svolgimento di questo incarico”.
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