L'attesa svolta nel giallo di Garlasco è arrivata. Alberto Stasi è stato fermato con l'accusa di omicidio volontario aggravato da crudeltà per l'uccisione della fidanzata Chiara Poggi, avvenuta il 13 agosto scorso. Destinatario di un avviso di garanzia, notificatogli il 20 agosto in occasione di una lunga perquisizione che aveva portato anche al sequestro delle auto e delle biciclette degli Stasi, finora a suo carico c'erano solo una serie di indizi, tali però da indurre la Procura di Vigevano ad andare con i classici piedi di piombo.
Adesso la situazione è cambiata: "il quadro da indiziario è diventato probatorio" si limita a dire il procuratore della Repubblica Alfonso Lauro. "Sì, si è arrivati ad una prova" conferma un investigatore. La prova l'hanno fornita gli accertamenti scientifici del Ris di Parma: sui pedali di una delle biciclette sequestrate a casa Stasi (da donna, senza cestino, sul tipo di quella che una vicina di casa ricordava di aver visto appoggiata al muro di casa Poggi, la mattina del delitto) sono state trovate minuscole tracce di sangue con il dna di Chiara. Come faceva ad essere lì se Alberto ha detto di non aver utilizzato quella bici il 13 agosto? Quando l'esito è arrivato sul tavolo del sostituto procuratore Rosa Muscio, poco prima di mezzogiorno, è stata presa la decisione, dopo un rapido consulto con il procuratore Lauro, di procedere al fermo del ragazzo, che intorno alle 14 è stato condotto nella caserma dei carabinieri di Vigevano.
Verso le 17:00, quando sono arrivati anche i difensori di Alberto, è cominciato l'interrogatorio, protrattosi per quattro ore, fino a sera. Senza ammissioni da parte del giovane, che ha risposto alle domande e ha ribadito la sua posizione: "sono innocente". Ma già in precedenza aveva dimostrato di saper reggere molto bene alla tensione del confronto con gli investigatori o i magistrati. Procura e carabinieri sono però convinti di avere adesso in mano elementi tali da avvalorare quella che è sempre stata una loro convinzione: Alberto Stasi ha creato una grande messinscena. Secondo questa ipotesi, il giovane laureando della Bocconi, la mattina del 13 agosto, è andato in bicicletta a casa Poggi, dopo le 9:10 (ora in cui Chiara ha disattivato il sistema d'allarme della villetta di via Pascoli), ha ucciso la ragazza, poi è uscito, si è disfatto dell'arma del delitto, ha gettato via tutto quanto aveva tracce di sangue, è tornato a casa, ha risposto ad una chiamata della madre - che si trovava in vacanza - e ha preso a telefonare alla fidanzata, dimostrando di non aver mai ottenuto risposta.
Poco prima delle 13:30 è uscito di casa, è andato in via Pascoli con la sua Golf, ha scoperto il cadavere di Chiara in un lago di sangue, è tornato fuori e, in macchina, è andato fino alla caserma dei carabinieri per dare l'allarme. Durante il percorso ha chiamato il 118 per dire che mandassero un'ambulanza perché una persona probabilmente era stata uccisa. Le indagini hanno subito puntato sul 'bravo ragazzo', anche se una sua responsabilità sembrava impossibile, anche ai Poggi. E, infatti, nonostante fosse stato sottoposto a un interrogatorio lunghissimo che di solito non si riserva ad un semplice testimone, lo avevano voluto accanto ai funerali di Chiara. E lui era lì, in lacrime. E poi mancava il movente, visto che il rapporto fra i due ragazzi pareva sereno e solido. Poi, la svolta 'scientifica', dopo i tanti indizi quali le scarpe senza la minima traccia di sangue, malgrado quel macello in casa, il viso di Chiara definito 'bianco' mentre era coperto di sangue, il lavoro sulla tesi di laurea che invece non ci sarebbe stato. Al quadro mancano, però, due particolari non trascurabili: il movente e l'arma del delitto. E domani i consulenti proseguiranno il lavoro, ancora su quella bicicletta, divenuta improvvisamente l'elemento-cardine di questo giallo.