Siamo a gennaio e una delle tante scadenze e prime tasse, che si rinnova di anno in anno, è il canone Rai. Una tassa sempre meno amata e pagata dagli italiani. Quest’anno, però, la Rai ha tentato di correre ai ripari e, con l’intento di recuperare parte dei 500 milioni di euro che mancano alle sue casse in seguito all’evasione del canone, ha chiesto a Sky l’elenco dei propri abbonati, offrendo in cambio il decriptaggio dei segnali Rai sulle pay per view.
Come era facile aspettarsi, la risposta della tv di Murdoch è stata piuttosto secca e contraria. Nel comunicato diramato per rassicurare i propri utenti, Sky afferma, infatti, come “non violerà mai la privacy dei propri abbonati. La richiesta della Rai di avere accesso alle informazioni sensibili degli abbonati Sky per verificare il pagamento del canone è quindi irricevibile. È inoltre a dir poco sorprendente che questa richiesta sia la condizione per porre fine ai criptaggi dei programmi Rai sui decoder Sky, visto che già due sentenze, del Tar del Lazio (del 2012) e del Consiglio di Stato (del 2013), hanno ribadito che l’azienda televisiva di servizio pubblico deve rispettare il principio di universalità, di neutralità tecnologica e di non discriminazione”.
Dalla Rai è giunta anche una contro risposta o, forse, un chiarimento in cui si spiega come l’azienda di Viale Mazzini non voleva in realtà i nomi degli abbonati, ma solamente che “Sky eserciti una moral suasion sugli abbonati che non dovessero risultare in regola con il pagamento del canone”. Uno scenario che, considerati i presupposti, difficilmente vedrà Sky impegnarsi in tal senso.
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