Ho già scritto che l’economia della Lettonia ha subito effetti nefasti dalle misure che ha dovuto introdurre sotto dettatura della Troika (Commissione Europea – BCE- FMI), ai fini del conseguimento della patente d’idoneità per entrare nell’euro. Non potendo svalutare la propria moneta (Lat) per ripagare gli ingenti debiti con l’estero, essendo questa vincolata ad un tasso di cambio fisso con l'euro, la soluzione è stata il taglio delle retribuzioni (“svalutazione interna”) e dei posti di lavoro, per determinare un calo dei consumi con l’aumento della disoccupazione, in modo da frenare le importazioni e incrementare le esportazioni, grazie ai prezzi più bassi consentiti dalla riduzione dei costi.
E’ quanto accade, ormai da diversi anni, anche in Italia (come dimostra il caso ElectroLux , dove, peraltro - secondo gli ultimi dati forniti dall’Istat -, il potere d’acquisto dei salari è fermo da oltre trent’anni (le serie storiche dell’Istituto di Statistica cominciano nel 1982). In Europa prevale comunque la tendenza ad impoverire il lavoratore, attraverso riduzioni del suo salario netto (cioè della quota di salario che rimane in tasca al lavoratore, tolte le imposte e i contributi e aggiunte le detrazioni), anziché la programmazione di interventi incentrati sul taglio del cuneo fiscale (cioè delle tasse sul lavoro), come sarebbe più giusto in uno stato sociale. Intanto negli Stati Uniti il presidente Obama, scavalcando le opposizioni dei repubblicani in Congresso, ha annunciato l’emanazione di un decreto che, a partire dal prossimo anno, aumenterà il salario minimo per ora lavorata dei dipendenti federali, da 7,25 a 10,10 dollari.
L’Italia appartiene al gruppo di Paesi definiti con l’acronimo P.I.I.G.S. (Portogallo-Italia-Irlanda-Grecia-Spagna), utilizzato in senso dispregiativo dalla stampa economica anglosassone per indicare gli Stati europei caratterizzati da scarso virtuosismo dei conti pubblici (il termine inglese pigs significa maiali).
Di recente, nella trasmissione “La Gabbia” in onda su LA7, il giornalista economico Paolo Barnard ha mostrato un documento ufficiale della Commissione Europea, massimo organo politico-economico dell’Ue, che riguarda gli Stati dell’Eurozona, cioè quelli che negli ultimi diciotto anni hanno adottato le riforme imposte dalla stessa Commissione. Il documento afferma nero su bianco che, tra soli dieci anni (cioè nel 2024), lo standard di vita di tutta l’Eurozona (quindi non solo dell’Italia) sarà del 40-50% inferiore a quello degli Stati Uniti d’America: uno scarto che non si registrava dai primi anni ’60 del secolo scorso. L’analisi dei grafici contenuti nel documento è preceduta da una dichiarazione di Romano Prodi risalente alla fine degli anni ’90, in cui l’allora presidente del Consiglio afferma: “L’Euro è il mezzo per creare un blocco competitivo agli Stati Uniti e vincere la guerra con loro”.
La curva della produzione industriale media dell’Eurozona, dal 1968 fino al 2023, segna un crollo verticale della produzione di tutte le aziende a partire dal 2000 (un anno dopo l’introduzione dell’euro), che prosegue inarrestabile – secondo le stime del grafico – fino al 2023, anno in cui è prevista una lenta ripresa.
E, si badi bene, questi sono dati inoppugnabili, perché stabiliti dalla Commissione Europea. Non è, quindi, propaganda di qualche economista avventuriero in cerca di visibilità.
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