Negli ultimi anni il mondo del lavoro è notevolmente cambiato. E non solo per l’avvento di internet che ha introdotto nuove professioni e ha cambiato e trasformato quelle tradizionali, ma anche in termini di stipendi e tipi di lavori.
In passato si pensava che oggi gli stipendi sarebbero sicuramente aumentati esponenzialmente e invece non è così, complici la crisi economica attraversata negli ultimi anni, l’inflazione e il potere d’acquisto, che negli ultimi 10 anni è diminuito del 6,9%.
La tecnologia, poi, ci ha proiettati in un futuro che 40 anni fa non era neppure immaginabile. Non c’è lavoro che non abbia bisogno dell’utilizzo del computer per essere portato avanti. E che dire poi di smartphone e tablet?
Il potere del web è stato anche quello di creare nuove opportunità di lavoro in settori un tempo inesistenti. Sono decine le figure professionali della new economy: esperti di web marketing, web design, web writing, web management, web positioning e così via.
Negli ultimi anni anche il mondo del lavoro ha spostato la sua attenzione verso le nuove tecnologie digitali. Per tale motivo si è assistito ad un aumento delle richieste di figure professionali nell’ambito del cosiddetto Web 2.0.
Si parla, a tal proposito, di digital jobs, ovvero di carriere digitali del futuro: si tratta di quelle professioni in ambito ICT che richiedono competenze specifiche e che rappresentano ormai una percentuale in netto aumento rispetto ai lavori tradizionali. Sono emerse allora nuove figure come il Data Scientist, l’IT Security Manager, il Chief Technology Officer, lo Sviluppatore Mobile, il Big Data architect, il Digital Copywriter, il Community Manager, il Digital Advertiser, lo User Experience Director e il Social Media Marketing Manager.
Oggi il web offre inoltre molte opportunità di lavoro, un tempo inimmaginabili, permettendo a queste nuove professionalità di guadagnare online. Avere familiarità con strumenti come il SEO e Google Adsense, permette a chiunque di poter guadagnare tramite un blog o un sito internet personale. E lo stesso dicasi per gli Youtuber, che spesso diventano anche delle vere e proprie star della rete.
Ma a cambiare negli ultimi anni sono state anche le forme e i contratti di lavoro. Il mondo del lavoro di oggi non si basa più sulla concorrenza tra un’azienda e l’altra ma anche tra un singolo lavoratore e l’altro. Il web ha dato vita ad una generazione di freelancer e un vero e proprio esercito di partite iva. Le aziende sempre di più richiedono personale “flessibile”, adattabile cioè alle esigenze produttive. Non è più realistico pensare al “posto fisso”, quello che ti accompagna fino alla pensione e ti garantisce reddito fisso e sicurezza, ma bisogna abituarsi all’idea di cambiare spesso lavoro, accettando contratti temporanei.
La legge 30/2003 ha fissato le caratteristiche di tutta una serie di contratti di lavoro per così dire “flessibili”:
- Contratto a tempo parziale: l’orario di lavoro è inferiore a quello contrattuale (le “40 ore”), distribuito in modi diversi durante la settimana, mese o anno;
- Contratto a progetto: è un rapporto di collaborazione, con durata definita nel tempo, tra il datore di lavoro e il collaboratore, per portare a termine un determinato lavoro, anche in maniera autonoma;
- Job sharing o lavoro ripartito: è un rapporto di lavoro “normale”, ma con una caratteristica: sono due persone, invece che una, ad assicurare al datore di lavoro la copertura dell’orario di lavoro;
- Telelavoro: in alcuni casi, è possibile lavorare, grazie a una postazione attrezzata, stando a casa propria, il vantaggio è di riuscire a conciliare i tempi del lavoro con le esigenze personali o familiari;
- Prestazioni di lavoro accessorio: sono lavori puramente occasionali per i quali non si possono percepire compensi superiori ai 5.000 € annui complessivi;
- Lavoro intermittente: il lavoratore si mette a disposizione del datore di lavoro, che lo chiama in servizio, con un certo preavviso, quando ve ne è la necessità;
- Contratto di somministrazione di lavoro (ex lavoro interinale): ci si rivolge ad un’apposita agenzia che, in base alle caratteristiche professionali possedute, trova una collocazione presso le aziende che richiedono personale, anche per brevissimi periodi.
Vi sono poi i cosiddetti contratti a contenuto formativo, quelli cioè in cui è prevista, oltre all’attività lavorativa, una parte di formazione, sia interna all’azienda che esterna:
- L’apprendistato, che è anche uno dei modi per assolvere al diritto, dovere all’istruzione e alla formazione;
- Il contratto di inserimento, che contiene un progetto individuale di adattamento delle competenze professionali di un lavoratore;
- Il contratto di formazione lavoro, riservato al settore pubblico.
Non va poi ignorato il ruolo giocato dalla globalizzazione, che ha portato all’unificazione dei mercati a livello mondiale, andando a peggiorare in molti casi le piccole realtà locali e i piccoli mercati. Il basso costo del lavoro e i bassi oneri fiscali fanno si che le grandi aziende decidano di spostarsi all’estero dove la pressione fiscale è inferiore piuttosto che investire nel proprio paese, dando origine alle delocalizzazione, quindi ad una diaspora di persone e delle loro qualità che vanno, sì, ad arricchire il paese in cui andranno, ma lasceranno il proprio sempre più povero. Questo implica anche la richiesta, da parte dei datori di lavoro, di una maggiore flessibilità agli spostamenti da parte dei dipendenti rendendoli sempre più precari, trattandoli più come merci che come persone.
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