L’Unione europea vuole eliminare la data di scadenza dei cibi. “Un vero e proprio attentato alla salute dei consumatori visto che il cibo non è immortale, ma con il passare del tempo sia le qualità organolettiche sia le proprietà nutrizionali scadono”. A lanciare il grido d’allarme sono il presidente e del direttore della Coldiretti siciliana, Alessandro Chiarelli e Giuseppe Campione, con riferimento alla riunione di Consiglio agricoltura in cui si affronteranno le proposte delle delegazioni di Olanda e Svezia che, con il sostegno dell’Austria, Germania, Danimarca e Lussemburgo, chiedono l’esenzione dell'obbligo di indicare in etichetta il termine minimo di conservazione “da consumarsi preferibilmente prima” per prodotti come pasta, riso e caffè, attraverso l’estensione dell’allegato X del regolamento UE 1169/2011.
“Si tratta di un colpo di mano dei paesi del Nord Europa che vogliono livellare il cibo con la scusa della crisi che non corrisponde al quadro reale visto che proprio in virtù del risparmio forzato sono diminuiti gli sprechi a tavola. Il cibo non è per sempre - aggiungono - ma ha un normale ciclo di vita che, al contrario dev’essere stampato a chiare lettere sui prodotti”.
Secondo i vertici dell’organizzazione agricola, “è una battaglia che deve vedere un impegno corale perché non si può pensare che malattie derivanti dall’assunzione di prodotti scaduti vengano stabilite addirittura tramite norme”.
Il “Termine Minimo di Conservazione” (TMC), infatti, è stato introdotto a garanzia dei consumatori, mentre la data di scadenza vera e propria è la data entro cui il prodotto deve essere consumato e anche il termine oltre il quale un alimento non può più essere posto in commercio. “Sono scelte e proposte incomprensibili - aggiungono Chiarelli e Campione - e proprio per evitare danni alla salute bisogna ancora di più scegliere un’alimentazione a Km zero affidandosi alla serietà e competenza degli agricoltori, utilizzando i loro prodotti”.
Attualmente, come fa sapere la Coldiretti, “solo pochi alimenti hanno una scadenza prestabilita dalla legge come il latte fresco (7 giorni) e le uova (28 giorni). Per tutti gli altri prodotti la durata viene stabilita autonomamente dagli stessi produttori, in base ad una serie di fattori che vanno dal trattamento tecnologico alla qualità delle materie prime, dal tipo di lavorazione e di conservazione per finire con l’imballaggio”.
Per questo, non è difficile, durante un controllo commerciale, vedere due prodotti simili, ma di marchio differente con data di scadenza diversa.
“È, infatti, compito di ogni singola azienda - aggiunge l’organizzazione agricola - effettuare prove di laboratorio sui propri prodotti, per misurare la crescita microbica e valutare dopo quanti giorni i valori organolettici e nutrizionali cominciano a modificarsi in modo sostanziale”.
Il risultato è, ad esempio, che per l’olio d’oliva extravergine alcune aziende consigliano il consumo entro 12 mesi, altre superano i 18, con il rischio di perdere le caratteristiche nutrizionali e di gusto secondo studi del dipartimento di Scienze e tecnologie alimentari e microbiologiche dell’università di Milano. “Tali ricerche evidenziano come gli effetti del mancato rispetto dei tempi di scadenza variano - conclude la Coldiretti - da prodotto a prodotto: per lo yogurt, che dura 1 mese, il prolungamento di 10-20 giorni non altera l’alimento, ma riduce il numero dei microrganismi vivi, mentre al contrario per i pomodori pelati quasi tutte le confezioni riportano scadenze di 2 anni anche se la qualità sensoriale è certamente migliore se si consumano prima”.
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