Le Zone economiche speciali (Zes) hanno l’obiettivo di attrarre investimenti esteri o extra-regionali, attraverso incentivi, agevolazioni fiscali, deroghe normative etc. Nel mondo si contano circa 2.700 Zes, in Cina e a Dubai gli esempi più noti. In Europa sono circa una settantina, 14 delle quali istituite in Polonia.
L’occasione è ghiotta in quanto cade mentre il governo cinese sta “costruendo” anche via mare la “Belt&Road initiative”, una nuova rotta Cina-Europa costellata da scali e poli di trasformazione industriale delle merci, rilevati e gestiti dai fondi d’investimento cinesi.
Anche la Sicilia aveva previsto la presentazione delle nuove Zes del Sud Italia al mondo istituzionale e degli operatori marittimi e portuali della Cina, prevista il mese scorso a Hong Kong, ma alla fine l’Isola non è stata presente perché, a quanto pare, è l’unica regione del Mezzogiorno che non ha pronte le proposte delle Zes da inviare al ministero del Mezzogiorno, anzi non ha ancora neanche avviato l’iter di progettazione. La Sicilia, dunque, rischia di restare tagliata fuori dai nuovi flussi di merci in arrivo dalla Cina.
“Con i colleghi della Sicilia orientale e di Messina alla fine abbiamo deciso di non andare più a Hong Kong - spiega Pasqualino Monti, presidente dell’Autorità portuale del mare della Sicilia occidentale - e di presentarci alla prossima piattaforma prevista a maggio, organizzando bene la nostra rappresentanza, perché speriamo che da qui ad allora la Regione si pronunci sulla materia. La Sicilia è una Regione a statuto speciale e occorre che il governo regionale e l’Ars prendano posizione rispetto alle previsioni del Decreto Mezzogiorno, alle regole e benefici per le Zes, all’individuazione precisa delle aree che nel decreto sono genericamente indicate una in Sicilia occidentale e l’altra in Sicilia orientale. Il ministro De Vincenti ha già avviato le consultazioni con le amministrazioni locali competenti, ma serve una posizione ufficiale della Regione con la quale vogliamo confrontarci su tutto, a partire dal numero delle Zes, cioè se farne due o tre coinvolgendo Messina e quanti più territori possibile”.
Ad oggi, alle tre autorità portuali non resta che attendere. Frattanto, Pasqualino Monti cerca di recuperare il ritardo logistico dei porti che gli sono stati da poco affidati, infatti a breve saranno completati i lavori alla banchina “Vittorio Veneto” del porto di Palermo, che favorirà l’attracco a più navi da crociera. “A Trapani e Porto Empedocle stiamo partendo con la progettazione dei Piani regolatori – spiega Monti - che sarà poi inviata alla Conferenza dei servizi per le autorizzazioni, perché quelli in vigore, risalenti agli anni ‘50 e ‘60, prevedono fondali adatti solo ad aliscafi e piccoli traghetti. Vanno abbassati di almeno tre-quattro metri se si vuole intercettare il traffico crocieristico o anche le grandi navi container della “Via della Seta” cinese”.
La Cina lega fortemente le Zes ai porti, nel senso che lo sviluppo delle imprese manifatturiere e logistiche è correlato allo sviluppo dei porti. Per loro più imprese si insediano, più ingrandiscono il porto, la Zes e le aree retrostanti. “Stiamo studiando il modello di gestione e sviluppo delle Zes cinesi - spiega Alessandro Panaro, responsabile “Maritime & Mediterranean Economy” di Srm - partendo dalla visione italiana, che è quella di concepire una Zes come dei terreni messi a disposizione a imprese che beneficiano di incentivi e non pagano tasse a lungo termine. Come ad esempio Shenzhen, una free zone nata nel 1979 dove sorgeva un piccolo villaggio ed ora uno dei più grandi ed efficienti porti al mondo Oggi è il terzo porto al mondo e movimenta 20 milioni di Teu. Le imprese vengono qui perché interessate ad un porto forte ed efficiente, governato non da amministratori pubblici, ma da una società manageriale, la Cmp, un colosso che gestisce il porto. La Zes fornisce tutti i servizi a chi si vuole insediare, dà permessi e consulenza anche su finanziamenti, organizza puntualmente le spedizioni e costruisce persino le case per il personale. Poiché qui si risparmia su tempi e costi, infatti gli incentivi non sono eterni, ma dopo 15-20 anni si pagano le tasse, ma si autofinanzia e alimenta nuovi investimenti”.
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