“Ti presento un amico è una commedia italiana che ha come punto di riferimento Notting Hill con Hugh Grant. E chi è il nostro Hugh Grant? Raoul Bova, senza di lui non avremmo mai fatto questo film”, così i fratelli Vanzina introducono la loro ultima fatica che uscirà nelle sale il 12 novembre. L’obiettivo è chiaro ma, a nostro parere, non è stato per nulla raggiunto. La distanza tra questo film e una qualsiasi commedia dell’acclamato attore inglese è abissale.
Ti presento un amico si apre con un immagine di Trafalgar Square a Londra, Marco (Bova) è un manager che lavora nell’abito della cosmetica, sembra che tutto, carriera e vita privata, vada a gonfie vele, un giorno invece la ragazza lo lascia senza preavviso e il capo dell’azienda lo arruola a Milano per un compito nuovo e ingrato: tagliare le teste ai colleghi poco produttivi. Ancora più ingrato se il periodo è di profonda crisi. Più che lavorare, Marco comincia ad avere relazioni con quattro donne.
Nel turbine della femminilità - La prima è Sarah (Kelly Reilly), una affascinante inglese che si occupa di arte contemporanea, sembra che tra loro scocchi la scintilla, in realtà Sarah ha un piano ben preciso per riconquistare il suo ex. La seconda è Giulia (Barbora Bobulova), una donna in carriera che farebbe di tutto pur di soffiare il posto a Marco. La terza e la quarta sono Francesca (Sarah Felberbaum), una giovane collega motivata che rientra nella lista delle teste da tagliare e Gabriella (Martina Stella), un’aspirante giornalista perseguitata dal fidanzato gelosissimo (Fabio Ferri), “e a volte molto aggressivo”, lo descrive Martina Stella. Tutte queste donne per un uomo solo? Niente affatto. Bova non è il supermacho della situazione, ci conferma l’attore, “rappresento l’uomo di oggi, più fragile di fronte a un mondo sempre più tenuto in piedi dalle donne.
E poi raccontiamo anche l’amore veloce dei tempi moderni”. “L’aspetto che mi ha convinto di questa storia era la presenza di un uomo in crisi – afferma il regista Carlo – sono le donne il motore della vicenda, sono loro a prendere l’iniziativa”. Bova ritorna a lavorare con i Vanzina dopo essere stato lanciato dal loro Piccolo grande amore (1993), “lo sapevo che sarebbe diventato una star – prosegue il regista – all’epoca aveva una presenza scenica molto forte, col tempo poi è maturato professionalmente”. “Ci eravamo ripromessi che un giorno avremmo lavorato di nuovo insieme, quando hanno avuto la sceneggiatura giusta me l’hanno preposta ed eccoci qua”, dichiara Bova.La cultura e i soldi che mancano - Il film affronta il tema della crisi del lavoro, dunque era inevitabile non affrontare con i protagonisti la crisi del settore cinema e i tagli del governo alla cultura. “L’aspetto che mi ha dato più fastidio è il disprezzo della politica verso il nostro mondo - afferma lo sceneggiatore del film Enrico Vanzina – per me dire ‘la cultura non si mangia’ è provare disprezzo e lo trovo imperdonabile”. Anche Bova commenta e a proposito dei fondi statali dice: “I soldi servono, ma bisognerebbe utilizzarli con più oculatezza e ci dovrebbero essere controlli più oculati. Si sono sprecati troppi soldi che potevano essere utilizzati per le opere prime”.
Fonte: tiscali
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