Sembra incredibile che nei giorni nostri, in pieno anno 2016, possano giungere le gravi notizie di quanto sta accadendo in Turchia, a seguito del colpo di stato fallito. Perché è vero ed anche logico che il potere messo in forse allorché si è rinsaldato provochi reazioni ed epurazioni. Ma ritenevamo che la Turchia fosse un paese civile, dove chi sta al potere sia figlio e pure lui assertore di una civiltà che non tradisce mai le regole del diritto internazionale e quelle minime della decenza umana. Ma così non è stato, ed ora chi comanda in Turchia si è abbandonato ad un tipo di vendetta che sa di orgia barbarica, di sfrenata esplosione di odio crudele, evidentemente coltivato e represso da tempo. No, la Turchia di Erdogan ora non può più essere considerata paese civile, con cui i paesi civili possano trattare.
Infatti, se è vero che c’è stato un complotto, se è vero che dei militari hanno tentato di accedere al potere con la forza, contro un governo voluto in qualche modo dal popolo (ma da quelle parti è cosa piuttosto di moda, l’alternarsi del potere di marca coranica a quello militare laico e viceversa), è anche vero che il dopo prevede processi legittimi e saggia distinzione tra colpevoli e no. E per i prigionieri in ogni caso c’è una convenzione internazionale. Invece arrivano notizie di continui arresti, di violenze gratuite e bestiali su migliaia di corpi umani, di eliminazione a migliaia di soldati, magistrati, insegnanti, giornalisti, funzionari e impiegati di ogni tipo, gente soprattutto istruita, per cui c’è da temere che il popolo cui dovrà appoggiarsi il governo forte sia d’ora in poi costituito da un rimasuglio di piazzaioli inferociti, contro le libertà comuni e l’emancipazione delle donne. A sentire la notizia di incessanti retate, viene da pensare a quante migliaia di innocenti sono coinvolti, a quanti entrano nelle liste dei proscritti senza sapere perché, a quante delazioni si sta dando credito, a quanti regolamenti di conti anche tra vicini si dà luogo, a quanto giustizialismo indiscriminato si sta cedendo. Né, siccome non siamo tutti scemi, il fatto che sùbito appena fallito il golpe si sia potuto procedere contro migliaia e migliaia di soggetti, vuol dire che c’erano delle liste pronte, cosa che può ben giustificare qualche sospetto.
Comunque va tenuto presente che questo Erdogan, eletto a maggioranza, benché discussa, al governo della Turchia, è lo stesso che da quando è al potere è andato man mano costituendo una dittatura strisciante, soffocando ogni voce di opposizione, incarcerando e inibendo scrittori e giornalisti. È lo stesso che dall’oggi al domani ha cambiato fronte di guerra, che pure ha fatto affari con gli assassini dell’Isis, che ha perseguito una politica estera di ricatto con l’Europa con la scusa dei migranti. È lo stesso che ha imposto il velo alla moglie, che in definitiva si è prefisso d’imprimere una svolta antilaica alla società turca, certo convinto che il fanatismo religioso, specie se di massa, rende il potere forte e inattaccabile.
Ora, dopo il fallito golpe, questa convinzione gli si sarà fatta più radicale, e intanto, mentre la Turchia rischia un’involuzione secolare, lui, dimentico che un uomo di stato costruttivo del futuro, non si lascia mai trascinare dalla rabbia inconsulta, ora colpisce indiscriminatamente oppositori e ritenuti tali, e sta imboccando una strada senza uscita, che è quella del terrore dittatoriale, la cui previsione di fine non può essere che tragica. Fu così anche per Hitler, che pure ebbe plauso da masse oceaniche.
Tutto questo però rattrista assai di più, se si pensa che è accaduto ed accade con le cancellerie europee ed americana che sono rimaste a guardare e ad attendere; anzi, il che è peggio, con delle reazioni alquanto labili e con il solo avvertimento che basta che non si ricorra alle impiccagioni. Ed invece di concordarsi per approntare delle politiche intese ad isolare la Turchia, ora che ha addirittura dichiarato di sospendere ogni intesa sui diritti umani (dichiarazione che vuol dire ritorno alla barbarie), si comincia a pensare come venire ad altri accordi, pensando di salvare le convenienze immediate. Quelle, ad esempio, di mantenere delle basi, di far barriera contro i migranti, visto che costituiscono un problema che l’Europa non sa risolvere. Insomma è ancora l’imbelle egoismo degli interessi degli stati occidentali a guidare la mediocrità della politica estera dell’Occidente, senza nessuna idea su quali principi essa debba sostenersi. Dunque ancora una volta la grave faccenda nostra è che attraversiamo un’epoca in cui la politica occidentale non ha più fede in principi sostanziali da difendere, procede senza idee portanti, senza una filosofia dell’avvenire che implichi anzitutto la tutela energica di quanto già realizzato a pro dell’uomo. L’Occidente illuminista e libertario oggi ingoia con facilità i mali che fuoriescono nel secolo e tollera accordi pure col diavolo sulla base del bieco teorema: purché siano salvi le finanze e i mercati. È senz’altro crisi di cultura umana. Ed anche per questo può accadere che gli occidentali vengano ammazzati mentre con la pancia e le tasche piene passeggiano sul lungomare.
Se, dunque, la crisi di cultura ha solo blande risposte alle offese contro la dignità umana, contro di essa dovrebbero alzare la voce perlomeno gli intellettuali. A fronte di quanto sta accadendo in Turchia ci si sarebbe aspettata qualche loro levata di scudi. E ci si attendeva e ci si attende l’organizzazione di manifestazioni di pacifica ma chiara protesta difronte alle ambasciate della Turchia in tutto il mondo civile. Ci sono ancora i comitati per la giustizia, i raduni per la civiltà nel mondo? E ci si attenderebbe la diffusione di un manifesto degli uomini di pensiero, degli scrittori, contro il rigurgito di barbarie che si sta tragicamente consumando. Ci sono ancora gli intellettuali? Ma se nulla si vede e nulla si fa, vuol dire che davvero la civiltà occidentale non sa difendere più i suoi principi base, non ha più uomini di pensiero che contano ed è ormai davvero senza speranza.
ELIO GIUNTA BIOGRAFIA:
ELIO GIUNTA poeta, scrittore palermitano. Vanta lunghi decenni di attività come docente di letteratura e come critico ed opinionista su quotidiani e riviste. Ne fanno fede numerose pubblicazioni, tra le quali da considerare di maggior rilievo: Dacci oggi la nostra mafia quotidiana, Penultima lezione, Elogio del pessimismo, Il diritto al disprezzo, Antologia del pensiero scomodo, Ripensare l’unità d’Italia, Dal dì che nozze, tribunali ed are-Saggio sulla crisi della civiltà contemporanea. Di rilievo anche le monografie d’arte: Caravaggio e Lyssenko, Gauguin e Christolubov.
Tra le sue opere di poesia più note: Recuperi possibili, Bivacco immaginario, Filottete, Dai margini inquieti, La mia città. Si legge in un suo scritto: “ Non si è poeti perché se n’è avuta investitura o perché qualche amico o conoscente prestigioso ti ha esaltato o ti esalta sui giornali che contano. Lo si è perché si è in possesso di un io destinato ad offrirsi agli altri, esprimendosi con gl’ingredienti letterari tipici della poesia: l’immagine, l’icasticità sonora della parola. Ma se quest’io va agli altri, cioè appunto si esprime, vuole essere portatore di qualcosa, per esempio, di una più acuta interpretazione del tempo. Per quanto mi riguarda l’io del poeta filtra il tempo nel tempo; e non credo ci sia poesia di spessore, se essa non coincide con la filosofia del vivere il tempo, del soffrire il tempo, del dannarsi nel tempo auspicandone qualche riscatto. Magari se n’è sconfitti, ed io sarò pure uno sconfitto, ma nel campo di battaglia lasciato dal mio vivere e pensare, ci sono dei resti da contemplare: amore, comprensione tradita, vane attese. E’ la mia poesia.”
Da ricordare anche alcuni suoi titoli di narrativa: I moralisti, Storie d’amore, Seminario dell’adolescenza, Dal diario di Orazio Cantelo.
E’ stato fautore per diversi anni degli incontri a Palermo con alcuni tra i più illustri protagonisti della letteratura del secondo novecento, con i quali aveva frequenza, della quale ha dato testimonianza nel pamphlet Romanzo letterario palermitano.
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