Il rottamatore continua la sua lotta, vince un’altra battaglia e porta la riforma costituzionale ad una lenta e inevitabile realizzazione. Martedì 13 ottobre è stato approvato in Senato il disegno di legge che sancisce definitivamente la fine del bicameralismo perfetto, trasformando la suddetta camera nel “Senato delle Autonomie”: 178 voti favorevoli, 17 contrari, 7 astenuti e un marasma generale che paradossalmente ha accomunato le forze dell’opposizione, le quali non hanno partecipato alle votazioni.
I senatori della Lega Nord, attraverso la voce di Roberto Calderoli, hanno annunciato il proprio dissenso abbandonando l’aula di Palazzo Madama con in mano la Costituzione e sbattendola metaforicamente in faccia al presidente Grasso. Non meno eloquenti sono stati i 5 stelle, che hanno posto sui loro seggi dei fogli combinati in sequenza per rappresentare la bandiera italiana. Meno plateale l’uscita degli onorevoli di Forza Italia: il presidente della regione Liguria Giovanni Toti ricorda l’unione da tempo evocata di un centro-destra che soltanto alleandosi potrà puntare a governare. Più eclatanti le parole del suo leader, Silvio Berlusconi, che espone un profondo timore per una possibile distruzione della democrazia con un solo partito che rischia di prendere il comando del Paese. Sono lontani anni luce i giorni del “patto del Nazareno”.
Non determinanti i voti favorevoli del nuovo gruppo parlamentare ALA capeggiato dall’“integerrimo” Denis Verdini, ormai nuovo alleato del governo Renzi.
Ma questa riforma epocale tanto voluta dal ministro Marie Elena Boschi è davvero così terribile? Oppure le opposizioni stanno prendendo un buco nell’acqua? Attualmente il Senato della Repubblica è composto da 315 senatori eletti dal popolo più 5 senatori a vita scelti dal presidente della Repubblica; con il suddetto emendamento il loro numero scenderà drasticamente a 100, di cui: 74 consiglieri regionali, 19 sindaci dei capoluoghi di regione più quelli di Trento e Bolzano, 5 verranno nominanti dal capo di Stato.
Si assisterà, pertanto, a una sostanziale limitazione del potere legislativo, che diviene un organo rappresentativo delle istituzioni territoriali con facoltà di proporre (ma non effettuare) modifiche sui disegni di legge discussi alla Camera dei Deputati, la quale resterà l’unica a poter approvare le proposte di legge.
I futuri senatori, eletti tramite elezioni regionali, che sostituiranno quelle politiche, effettueranno contemporaneamente l’attività di consigliere regionale. Inoltre, non riceveranno alcuna indennità per il proprio ingresso a Palazzo Madama, ma soltanto un rimborso spese per i vari spostamenti dai propri luoghi di appartenenza e per il soggiorno a Roma durante le sedute. Secondo i sostenitori della riforma, la massiccia riduzione del numero e delle mansioni diminuirà l’iter burocratico per la promulgazione delle leggi, annullando l’effetto ping pong tra le due camere. Questi accorgimenti sembrano ingegnosi e proficui per ammodernare la struttura politica italiana. Ma sarà davvero così?
La riduzione della realizzazione dei progetti di legge è una vera e propria “paraculata”, tenendo conto della sbalorditiva velocità con la quale sono stati approvati alcuni provvedimenti fortemente voluti dalla casta per soddisfare i propri interessi (20 giorni per approvare la legge Fornero e il Lodo Alfano).
Altro enorme difetto è il doppio ruolo di consigliere-senatore che avranno i futuri onorevoli: Palazzo Madama verrà trasformato in una sorta di dopolavoro inutile e si rischierà di effettuare non egregiamente entrambe le mansioni. Questa legge, secondo i detrattori (M5S su tutti), è soprattutto studiata per salvare i futuri onorevoli dalla galera, in quanto l’elezione al Senato garantisce l’immunità parlamentare, bloccando i vari processi civili e penali a cui sarebbero sottoposti. Non a caso regioni e provincie rappresentano la classe politica tra le più indagate. Esiste, quindi, l’eventualità che, per fare un esempio, il vicepresidente e consigliere della regione Lombardia Mario Mantovani, accusato di corruzione e concussione riguardante appalti nella sanità e nell’edilizia, in via ipotetica possibile futuro senatore tramite la riforma appena approvata, possa godere dell’immunità parlamentare usufruendone a pieno titolo.
Il tutto sotto gli occhi felici del ministro Boschi, sorridente per il risultato ottenuto, senza dimenticare il toccante discorso di Giorgio Napolitano, volto a sensibilizzare l’attenzione a mantenere gli equilibri costituzionali. Il dado è tratto: Matteo Renzi e Denis Verdini sono i nuovi padri costituenti.
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