Il voto è una delle maggiori conquiste delle democrazie libere e moderne, è un diritto inviolabile e allo stesso tempo un dovere civico protetto dalla nostra costituzione. Eppure il numero di quanti non si recano alle urne è in crescita ovunque. Si parla di astensionismo, ovvero la non partecipazione al voto sia quando si viene chiamati ad esprimersi in occasione dei referendum sia quando si tratta di elezioni politiche e amministrative.
Le analisi statistiche dimostrano che il fenomeno dell'astensionismo è andato crescendo in Italia a partire dagli anni settanta. Dall'iniziale astensionismo del 6,6% degli elettori alle politiche del 1976, considerando anche i cosiddetti voti inespressi, cioè le schede bianche e nulle, in tempi recenti si è arrivati alla non partecipazione al voto di circa un elettore su cinque. A partire dagli anni ‘80 sono emerse due figure: gli astensionisti consapevoli, che non vanno a votare per dare un preciso segnale politico e gli astensionisti intermittenti, ovvero gli elettori che valutano se recarsi ai seggi a seconda dell’elezione. Ma oggi la maggior parte degli astensionisti non si reca alle urne o consegna scheda nulla, semplicemente perché non sa per chi o per quale partito votare. O semplicemente perché gli astensionisti sono stanchi di elargire voti e poi vedere tradite le loro aspettative.
L'analisi politologica ha identificato le cause del fenomeno innanzitutto nel progressivo sfaldamento dei partiti e delle loro organizzazioni politiche sul territorio che ha fatto mancare la mobilitazione degli elettori e quel senso di identificazione con il programma politico del partito di appartenenza che si traduceva in un'alta partecipazione al voto.
Se confrontiamo l'astensionismo in Italia con quello degli altri paesi europei vediamo che la non partecipazione al voto pone gli italiani al primo posto, con un'astensione che si traduce non tanto nell'assenza ai seggi, come nel resto d'Europa, quanto piuttosto nell'inserire nell'urna schede bianche o nulle. Il che fa pensare che gli italiani risentano ancora del giudizio morale negativo che la società esprime nei confronti di chi non vota e mascherino la loro volontà di astenersi con la presenza al seggio ma con l'espressione di un voto non valido.
Insomma il tema dell’astensionismo domina da anni il dibattito politico, ed elezione dopo elezione la partecipazione elettorale del popolo italiano è diminuita in maniera sostanziale. Alle prime elezioni della camera dei deputati (1948) partecipò il 92,23% del corpo elettorale, nel 2013 la percentuale era del 75,20%, per la prima volta sotto la soglia dell’80%.
Le amministrative del 2016 hanno ulteriormente evidenziato il crollo della partecipazione al voto. Il confronto con la tornata 2011, sia al primo che al secondo turno, lascia poco spazio alle interpretazioni: al primo round si è passati dal 71,04% di cinque anni fa, al 67,42% del 2016. Discorso analogo per il secondo turno, dove si è passati dal 60,21% al 50,52%. Una notevole differenza, anche se va ricordato che nel 2011 si votò mezza giornata in più, fino a lunedì alle ore 15.
Lo stesso dicasi per le amministrative del 2017. Al primo turno aveva votato solo il 58,66% degli aventi diritto, mentre al secondo il 46,03% degli elettori, ovvero meno di un cittadino su due. In particolare, durante il turno di ballottaggio in sette comuni siciliani, alle 19 aveva votato il 25,69% degli aventi diritto, con una flessione del 18,30 % rispetto al primo turno.
Ma perché i cittadini decidono di non recarsi alle urne a votare. Quali sono le motivazioni del non voto? Gianfranco Pasquino, ex senatore e politologo di fama, evidenzia tre cause principali dell’astensionismo: 1) la tendenza a partecipare solo alle tornate elettorali ritenute più importanti: generalmente l’affluenza è parecchio più alta alle elezioni politiche che alle amministrative; 2) la forte somiglianza tra proposte e idee dei vari candidati e delle diversi coalizioni, con la conseguenza che la vittoria di uno o dell’atro avrebbe uno scarso impatto sulla vita dei cittadini; 3) la crisi dei partiti, i quali ormai non riescono più a mobilitare gli elettori e portarli alle urne.
La terza opzione sembra essere la più influente, con una generale sfiducia nei confronti dei partiti e delle istituzioni, il che è stato anche confermato dal Rapporto sul benessere equo e sostenibile dell’Istat, che tiene traccia anche della fiducia dei cittadini nei confronti di partiti politici, parlamento, sistema giudiziario, istituzioni locali e forze dell’ordine. In questo rapporto è emerso che dal 2011 ad oggi il parlamento e i partiti politici hanno sempre il punteggio medio di fiducia più basso. Inoltre, risulta che un terzo delle persone dichiara di non aver nessun tipo di fiducia nei confronti dei partiti politici. È evidente, quindi, che nonostante le cause del non voto possano essere tante, in Italia il clima di sfiducia nei confronti dell’istituzioni ha un peso notevole nella questione.
Ma se non votare alle elezioni politiche nazionali può essere in parte giustificato dalla percezione di uno scarso impatto che queste hanno nella vita quotidiana delle persone, non votare alle elezioni comunali significa essere disinteressati al posto in cui si vive, al trasporto pubblico che consente di andare o meno al lavoro, alla retta degli asili nido, ovvero alla dimensione che riguarda la vita di ogni giorno delle persone. Il poeta e drammaturgo tedesco Bertolt Brecht, definiva colui che decide di non recarsi alle urne analfabeta politico. Si tratta di un cittadino che non si interessa degli avvenimenti politici, che non li considera affar suo, e questo contribuisce a creare il politico imbroglione. Non votare, non esprimere il proprio pensiero attraverso il voto, lascia spazio a politici impostori, legittimati proprio da coloro che hanno deciso di non votare.
Andrebbe invece ricordato che il voto è l’unico modo che i cittadini hanno di far valere le proprie opinioni. Non recarsi alle urne o consegnare scheda nulla non servirà a cambiare le cose. Molti pensano che il proprio voto non possa fare la differenza, ma il voto di tutti i cittadini italiani può farla eccome la differenza. Per lungo tempo una larghissima parte della popolazione è stata esclusa dalla cittadinanza attiva, ma dopo la seconda guerra mondiale le cose cambiano: il trentennio dal 1946 al 1976 è l’età d’oro della partecipazione elettorale, con percentuali di affluenza alle urne che superano il 90%. Dopo il regime fascista c’era, infatti, una forte voglia di partecipare alla vita politica, un forte desiderio di libertà. Ed è questo che i cittadini italiani dovrebbero ritrovare: la voglia di libertà che si esprime proprio attraverso il voto, che è una delle più importanti conquiste della nostra storia.
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