Le consultazioni amministrative hanno eletto quasi all’unanimità l’astensionismo.
Mi sembra del tutto normale. Al momento ci sono anche altre novità, ma prima qualche commento su alcune dichiarazioni di esponenti politici. Piero Grasso, presidente del Senato: “Mi dispiace che non ci sia una partecipazione popolare sentita e non possiamo che prenderne atto. Dobbiamo lavorare molto di più per fare avvicinare sempre di più i cittadini alla politica del rinnovamento, alla politica assolutamente diversa. Quando ci riusciremo ci sarà il 100% dei votanti”. Mi dispiace, signor presidente, credo che non ci siamo. Non è questione di lavorare di più o di meno, ma di lavorare in modo del tutto nuovo. È vero che lei ha fatto riferimento a una politica assolutamente diversa, ma bisogna ricominciare, ritornare all’alba, rifare tutto daccapo. Insomma, l’edificio andrebbe abbattuto e ricostruito. Perché progettato male ed edificato malissimo. Negli ultimi tempi si è andati al di là del fondo, al di là del degrado. E quando si raggiungono certi livelli, non è questione di restauri. Gli scandali avvenuti nei consigli regionali di quasi tutta Italia, per esempio, imporrebbero l’abolizione delle Regioni stesse. Parlamentini con facoltà di legiferare: così furono definite dal compianto segretario nazionale del Partito Liberale, Giovanni Malagodi. Quando si fa inimmaginabile scempio di soldi pubblici, significa che il clima generale è da orgia. Cioè, talmente degradato che perfino gli ambienti andrebbero disinfettati dai virus della corruzione, del lassismo, dei mancati controlli. E simile opera di risanamento non si dovrebbe limitare solo ai summenzionati parlamentini, ma a moltissimi altri centri di potere. Un governatore e una giunta di tecnici: bastano e avanzano. Passiamo ad un altro commento, quello di Marcello De Vito, esponente di quel M5S passato, in Valle D’Aosta, dal 18,5% ottenuto appena qualche mese fa all’attuale 6,17: “Un’astensione così alta vuol dire che c’è molta delusione, bisogna vedere quali sono le cause. Non so dire se ci favorirà”. Bisogna vedere quali sono le cause? Ma, direbbe Totò, siamo uomini o caporali? Non voglio lanciare strali sugli ultimi arrivati, per carità. Tuttavia, qual è stato il vostro apporto in Parlamento e, quindi, nel Paese? Discussioni sulla diaria? Espulsioni? Andare o non andare in televisione? Ma lo si capisce che stiamo per saltare tutti, e in modo definitivo? Non credo lo si capisca, se questi sono i problemi che vi sembrano più urgenti. Non è il caso di rifare l’elenco delle sciagure nazionali, basta solo Taranto. I nodi sono arrivati al pettine: o il rispetto della legge o 40 000 persone a casa! E fosse solo Taranto! Prima o poi toccherà a Milazzo, a Priolo e a tutti, dicasi tutti, i siti industriali. Che per anni sono stati inquinati senza ritegno. Con la complicità e il silenzio di tutte, dicasi ancora tutte, le componenti sociali. Ma la questione più grave, e per certi aspetti incredibile, è che nessuno ha la più pallida idea di come attuare quel connubio lavoro-ambiente che da qualche mese è sbandierato nelle campagne elettorali e nelle piazze. La più pallida idea! A Palermo è iniziato un processo di portata storica, che dovrà chiarire, finalmente, se è ancora il caso di usare l’aggettivo femminile presunta sulla trattativa tra lo Stato e la mafia. Se dovesse emergere che trattasi di verità, che Dio ci salvi. Sono implicati generali, colonnelli, un ex ministro dell’Interno, ex presidente del Senato, ex vicepresidente del Consiglio Superiore della Magistratura. Innocenti, per il momento e fino a prove contrarie, sia chiaro. Tuttavia, si ha idea di cosa e di chi si sta parlando? Ecco, limitiamoci a questi due soli casi. Sono più che sufficienti per avere una seppur vaga percezione del livello al quale è giunto il Paese. E ci si meraviglia se gli elettori se ne strafregano di andare a votare? Ma chi votare? Per quali motivi bisognerebbe premiare questo o quel partito o movimento? Se parola adatta esiste, e secondo me esiste, per identificare la situazione nella quale ci troviamo, quella è: da capo o daccapo. Un semplice, innocuo e casto avverbio per rivedere l’alba. O meglio: per continuare a sperare di rivedere l’alba.
Fonte: redazione palermomania.it
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