Tra le immagini che giornalmente fornisce la pubblicità televisiva ce n’è una che torna particolarmente intrigante: quella del ragazzino che, seduto con un anziano, forse il nonno, gli mostra l’uso dello smartphone. E’ l’immagine di un rapporto generazionale già in sé accattivante ma soprattutto densa di significati. E fa riflettere: è davvero così, sempre idillico e sereno il rapporto tra i ragazzi e gli anziani, cioè tra le generazioni? O qual è la realtà?
Oggi i ragazzi, anzi i ragazzini ancora imberbi delle prime età scolari, maneggiano con disinvoltura lo strumento tecnologico vanto dell’epoca, quando invece gli anziani per lo più lo trattano con fatica e diffidenza. E questo è il segno del grande balzo verso il nuovo e il diverso che la tecnologia ha imposto tra una generazione e l’altra. Non più un passaggio, anche con tratti lenti come accadeva nel passato, ma un balzo; e non serve dire se è bene o no, perché l’accaduto non può discutersi se non negli effetti a lungo termine. Il mondo va avanti e deve andare avanti, il problema è semmai se la direzione del procedere è quella giusta, quanto ci avvicina o meno alla meta del maggior benessere globale dell’umanità; e posto che il progredire preveda una meta e non l’oscurità del caos.
E qui contano soprattutto due fattori: la consapevolezza che il cammino umano voglia davvero questa meta e che sia sempre maggiore giustizia e meno incidenza dei mali fisici e morali; e la visione chiara dei tempi che si vivono, cioè dei caratteri che storicamente li distinguono, perché su di essi si operi in funzione appunto progressiva. Ora risulta evidente che questi fattori oggi spiegano che il rapporto tra le generazioni sia difficile, anzi carente e preoccupante. La tecnologia con i suoi strumenti ha del tutto assorbito interessi ed aspirazioni delle nuove generazioni, annullandone per lo più la volontà analitica, per esse vige un senso di immediatezza assoluta: non essendoci più sufficiente spazio riflessivo nel passaggio tra il vecchio e il nuovo, consegue il rifiuto acritico del passato e lo scarso stimolo del futuro. Da qui il tratto sbrigativo che suole aversi tra padri e figli, tra vecchi e giovani, e la prevalente apatia che si lamenta in genere nelle nuove generazioni.
Allora l’immagine pubblicitaria del ragazzino che capta con lo strumento l’affabile accondiscendenza del nonno, è forse immagine di un rapporto generazionale secondo un’idea buona che sarebbe da ricostruire. Ma che comporta anche il sottinteso che forse chi deve imparare di più oggi non sono più i giovani ma i vecchi. Ed a questo punto si sottintende pure che sarebbe da revisionare tutto un sistema educativo e tutta la politica ad esso connessa. Del che purtroppo non si fa nulla o si fa con ignoranza e male. Da un lato perché la politica non muove più da idee intese all’evoluzione della società, ha distrutto le vecchie e non ne tenta di nuove, e si è ridotta dappertutto a questione di potere da occupare da parte di uomini più o meno furbi e faccendieri. Dall’altro di cultura come fermento umano progressivo oggi non se ne può parlare e la scuola, che della cultura del tempo sarebbe espressione primaria, vive in una stasi d’incongruenza, dovuta ad un perenne bisogno di rinnovarsi senza chiaro senso di funzioni e di finalità del nuovo. A parte le eccezioni che possono registrarsi, a parte le trovate eroiche di docenti che lavorano sacrificandosi (ma dove occorrono eroi è perché c’è già la sconfitta), le masse dei nostri ragazzi frequentano oggi la scuola con un senso di malcelata tolleranza, magari per necessità d’obbligo di diploma, con scarsa coscienza di consumare anni formazione della personalità e della loro crescita umana e culturale.
Cosa viene da chiedersi quando si vedono frotte di ragazzi, sia delle medie che dei licei, sciamare fuori dalle aule sulla strada per attaccarsi subito a telefonini e tablet? Viene da chiedersi se hanno qualche cognizione dei problemi del tempo; per esempio, di quel che è stato il formarsi e poi la crisi del pensiero liberale; dei faticosi contributi dell’uomo all’indagine sui misteri della vita; chi sa se sanno cosa vuol dire l’umanistico trionfo del pensiero razionale e poi dei dilemmi tra felicità e oscurità del destino; del conseguente travaglio e degli affondi interpretativi che hanno fatto la storia della filosofia o della letteratura. Chi sa. Perché subito viene da chiedersi se questa scuola, come ancora oggi è frequentata, e che è ancora detentrice di quella cultura che ha maturato le vecchie generazioni, è ancora adeguata ai tempi e alle urgenze dei nostri ragazzi. Perché alla fin fine il problema è questo. La scuola italiana ha tramandato una tradizione culturale, con dei programmi ben delineati. Con questi ha creato una borghesia di tutto rispetto e prodotto delle eminenze celebrate in tutto il mondo. Se oggi questi non vanno più bene e si trascinano stancamente in una scuola seguita da una gioventù senza convinzione, si studi perché, si trovi saggiamente cosa va cambiato o essenzializzato oppure restaurato e reso più funzionale e nuovamente accattivante. Perché questo sarebbe mettere mano sul serio ai problemi della scuola e recuperare culturalmente le nuove generazioni, fuorviate da una tecnologia che ha fatto dell’utilità dello strumento un fine assoluto.
Purtroppo dalla politica sulla scuola sono venute fuori solo ritocchi estrosi e riformette sconnesse. Non si trattava di aggiungere o togliere ore, raggruppare materie e diminuire anni di studio; né, per esempio, è scuola nuova quella del liceale mandato a fare per ore il bigliettaio al museo anziché occuparle coi classici di latino o greco (questo secondo la famigerata alternanza). Insomma si trattava e si tratta di agire sui contenuti culturali: bisogna studiare e decidersi su cosa si vuole davvero che la scuola dia ai ragazzi, come tradizione e come nuovo, ma con impegno di ore possibile e non stressante, e su di un piano che comunque resti formativo.
Chi sa se questo ultimo Ministro della P.I., Marco Busetti, a cui dedichiamo volentieri questo articolo, tratti le esigenze concrete della scuola un po’ meglio dei suoi predecessori.
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