Questo Enrico Letta si porta senz’altro un merito, forse l’unico, che senz’altro bisogna riconoscergli: quello di fare il capo di un Governo italiano, in questo momento e nelle condizioni in cui è costretto a farlo. Le forze politiche (bisognerebbe definirle le debolezze politiche) che lo sostengono o che gli stanno attorno, costituiscono infatti l’apparato di una democrazia che ha smarrito senso e funzioni per la guida del paese, in quanto come ogni democrazia è fondata sui partiti, ma i partiti oggi in Italia sono in disarmo organizzativo e ideologico, cioè non significano politicamente più nulla. Significano personalismi per libidine di potere e accaparramento o salvezza di poltrone.
La dimostrazione più chiara di quest’assunto ce la fornisce anzitutto il Partito democratico, dilaniato da insanabili contrasti tra soggetti di ieri e parvenu di oggi, e divenuto soggetto di un teatro deplorevole di continui incontri e scontri, il cui risultato sarebbe solo il fissare una data per il congresso. Per questo evento, di cui agli Italiani per ora non importa un fico secco, passano in seconda fila le esigenze legislative urgenti (la legge elettorale!) e il grave declino economico del paese. Questo partito, che dovrebbe avere nel Dna la tutela degli interessi del proletariato, oggi anche classe media, non sa più che funzione dovrebbe sostenere nella dinamica politica attuale e futura, non sa trovare il compito da svolgere e che gli dia una direzione unitaria, che lo rilanci, mentre i suoi adepti restano i soliti malati di quella cultura snobistica con la quale si considerano sempre i migliori e con la quale sono destinati sempre a perdere. Con Renzi e senza Renzi.
L’altra viene dall’agglomerato inglorioso dell’ultimo ventennio, il Partito della libertà, Il quale però, oltre al fatto di essere in dissoluzione formale, non è neppure un partito, ma una specie di azienda di politica che ha un proprietario cui fa capo tutto. Costui poi, rischiando il blocco dei suoi movimenti per guai giudiziari, non manca di quella furbizia per gestire i suoi uomini a sua miglior tutela, servendosi magari dei guai del paese per continuare a blandire un certo seguito, pur sapendo di averli un po’ creati questi guai e di non poterli guarire. Pertanto l’appoggio che esso dà al Governo giova a non rischiare la sua scomparsa, ma giova anche a determinare la precarietà di questo, con continue minacce di crisi, utili solo a mantenere una sua voce in capitolo.
A queste due forze politiche che hanno realizzato le cosiddette larghe intese (e dovevano gestire soprattutto l’urgenza, mentre Letta si va illudendo di fare persino il riformatore della Costituzione) non c’è opposizione organizzata come tale e fornita di probabili idee vincenti, com’è nei parlamenti democratici, c’è solo un mucchio nutrito di contestatori d’occasione, anche questi sotto gli ordini intransigenti di un capo, comico, e un vice capo che non stanno neppure dentro i parlamenti stessi. Parliamo di Grillo e di quel Casaleggio che, mi si perdoni, presenta già una faccia poco rassicurante. Torvo, pallido, con quei capelloni da Erinni, ubriacato di web , vien da domandarsi se sa anche qualche riga di storia, utile ad ogni progettazione politica, con tanto di Europa e di globalizzazione che abbiamo sul groppone. Fatto si è che i grillini stanno a far politica con la inaudita pregiudiziale di non prestarsi a nessun accordo costruttivo per realizzare una nuova politica, cioè non si capisce che ci stanno a fare.
A parte il nostro modo particolare di vedere, non c’è dubbio che il panorama su cui poggia il nostro Letta non sia tranquillizzante. Esso ci prospetta il declino verso una crisi tutta italiana degli istituti democratici. Ed il guaio è che non si vede via d’uscita. Lo si constata ogni giorno, in occasione di qualsiasi provvedimento necessario che viene da affrontare. In questi giorni, ad esempio, si torna a battere sul chiodo che si devono reperire miliardi e si torna a battere sulla solita nota che occorrono tasse. Se si toglie l’Imu occorre aumentare l’Iva, ma di tasse si deve sempre parlare, quelle che nessuno vuole. Perciò si discute, si minaccia e rinvia all’infinito, per concludere poi che a pagare siano sempre gli stessi . Evidentemente ci sarebbe da mettere occhi e mani altrove, ben selezionando sugli sprechi e persino sugli emolumenti scandalosi che si continuano a pagare e sulle sovvenzioni e alcune assurde scelte di spesa che non c’è povertà che persuada a bloccare. Diversamente le larghe intese si restringerebbero subito, il politicume di cui sopra andrebbe in fibrillazione.
Allora inutile dire che non questo nostro tipo di democrazia, ma solo un presidenzialismo simile ad un dispotismo illuminato potrebbe prendere i provvedimenti drastici e giusti contro la povertà e per la ripresa; il che allo stato attuale non si vede possibile. Continueremo perciò a boccheggiare in questo andazzo di cose, magari con la umiliante svendita del paese, anelando ancora verso un futuro sempre uguale, tutti col cappio al collo, come il personaggio del dramma di Beckett “Aspettando Godot”.
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