La nave Aquarius si arrende. Dopo lo stallo nelle acque internazionali tra la Sicilia e l’isola di Malta con 629 migranti a bordo, l'imbarcazione ha raggiunto livelli estremi di vivibilità e utilizzo. Complice il peggioramento delle condizioni del mare, SOS Méditerranée, l'organizzazione non governativa proprietaria della nave, ha annunciato di non poter proseguire da sola la fase finale di questo viaggio della speranza con rotta verso la Spagna. E ha passato la palla proprio nelle mani di quell'Italia che nelle ultime ore è stata definita vittima e carnefice, disumana e giusta, pericolosa e prudente, e ultimo ma non ultimo "Immonda e vomitevole" a firma del partito del presidente francese Emmanuel Macron.
Con l'Italia la Aquarius è costantemente in contatto. È seguita con attenzione dal Centro Nazionale di Coordinamento del Soccorso Marittimo della Guardia Costiera di Roma (IMRCC), ed è monitorata dalle motovedette della Guardia Costiera con personale sanitario a bordo. Ieri mattina la nave è stata anche rifornita di viveri e generi di prima necessità. Trasferita la maggior parte dei migranti (si stima circa il 90%) sulla nave Dattilo della Guardia Costiera e su una nave della Marina Militare, si parte in direzione Valencia nella massima sicurezza, in compagnia del personale medico dell’Ordine di Malta, e dell'Unicef per il supporto dei minori.
Il viaggio durerà quattro giorni. Altri quattro lunghi giorni di strazio in mare aperto per i 629 a bordo, di cui 123 minori non accompagnati, 11 bambini e 7 donne incinte. Altri quattro lunghi giorni di nervi al collasso per chi finora ha dovuto organizzare e tener pronti gli eventuali soccorsi, monitorare le condizioni della nave e dei passeggeri, coordinare le trattative diplomatiche (ma non troppo) tra Italia, Malta e Spagna, ultima meta designata dell'Aquarius dopo l'apertura del neo premier iberico Pedro Sanchez, rivelatosi altro "falso amico" dell'Italia nel sobbarcarsi le responsabilità dell'accoglienza.
E negli ulteriori quattro, lunghi giorni di viaggio della nave Aquarius, viaggeranno anche le congetture, voleranno gli insulti in Italia tra italiani e in Europa tra europei, imperverseranno i commenti su tutti i social network, nei cui meandri la prima mossa di Matteo Salvini da ministro degli Interni sta rimbalzando ormai dal "secondo zero". Ma qualcuno l'ha vinta questa "battaglia"? Chi? Chi, alla fine dei quattro lunghi giorni di viaggio, quando gli esausti esseri umani a bordo della Aquarius sbarcheranno increduli sulla terraferma spagnola, potrà davvero cantare vittoria?
Sicuramente non potrà farlo la politica locale, quella della nostra Palermo. Perché il sindaco Leoluca Orlando ha sì gridato a gran voce il proprio secco "no" alla chiusura del porto del capoluogo alla Aquarius, ma la vita di un migrante non è uscire da un paese per entrare in un altro a costo zero e senza bisogni. E allora la battaglia per l'immigrazione libera diventa una battaglia per la supremazia politica, la lotta buoni-cattivi diventa uno scontro tra chi è al potere e chi non vuole buttar giù il boccone amaro della sconfitta elettorale nazionale. Lo spazio occupato dalle strumentalizzazioni della questione Aquarius diventa una voragine, e la conseguenza sui palermitani ormai è l'esser diffidenti in merito a qualsiasi gesto o parola del sindaco. Hotspot o meno, diritti violati o accoglienza a braccia aperte, cosa offrirebbe Palermo oltre al "solo" porto aperto? Posteggio abusivo e caporalato?
Non ha portato a casa grandi vittorie la politica italiana, dilaniata dall'interno da dibattiti spesso più spettacolari che concreti, sistematicamente voltata e rivoltata sulla base della più classica e improduttiva delle dialettiche maggioranza-opposizione. La legge applicata da Salvini esiste: se c’è il sospetto che una nave possa violare le leggi sull’immigrazione italiane, il diritto internazionale permette alle autorità italiane di impedirne l’accesso nelle acque territoriali. Inoltre, come ricostruisce l’agenzia Agi, l'articolo 83 del Codice della navigazione stabilisce che il ministero dei Trasporti possa vietare, "per motivi di ordine pubblico, il transito e la sosta di navi mercantili nel mare territoriale". Chi ha giudicato quale fosse questo ordine pubblico che l'attracco della Aquarius avrebbe sovvertito, e che impatto potesse avere l'approdo sull'Italia? D'altro canto, Salvini non ha chiuso i porti per sempre e non li ha chiusi a tutti. La Aquarius è una sola nave, ma i numeri dell'emergenza migranti sono ben altri, e da quando Salvini riveste la sua nuova carica l'Italia ha già accolto, o è in procinto di farlo, almeno quattro navi e il doppio degli ospiti della Aquarius: proprio stamattina la nave Diciotti della Guardia Costiera, con a bordo 932 migranti salvati al largo della Libia, è arrivata nel porto di Catania. Ma la Aquarius non è la Marina Militare, e forse basta questo per credere di aver dato un segnale forte, quasi un "Se non sei dei nostri non attracchi, e ora vai a dirlo all'Europa". Ma a chi è arrivato il segnale? Chi ha capito davvero che dietro non ci sono razzismo o indifferenza, ma politica e autoaffermazione agli occhi del mondo con metodi fuori luogo?
Senz'altro non ne è uscita più forte e coesa la politica europea, che anzi ha provato l'ennesima, evidente, imbarazzante difficoltà a guardare negli occhi un problema che sembra effimero visto dalle scrivanie e dalle aule dei parlamenti, ma che esiste tutti i giorni sulle banchine dei porti e ai confini montani. E che adesso corre ai ripari insultando, denigrando e deridendo un paese, l'Italia, che di fatto ha levato molte più castagne del fuoco all'UE che nelle intenzioni. La Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare, approvata nel 1982, stabilisce all’articolo 19 che il passaggio di una nave nelle acque territoriali di uno Stato è permesso "fintanto che non arreca pregiudizio alla pace, al buon ordine e alla sicurezza dello Stato costiero". Il comma 2 precisa anche che tra le attività che potrebbero portare a considerare offensivo il passaggio c’è anche "il carico o lo scarico di materiali, valuta o persone in violazione delle leggi e dei regolamenti doganali, fiscali, sanitari o di immigrazione vigenti nello Stato costiero". L'Unione Europea, e non la sola Italia, ha firmato documenti che dovrebbero comprovare l'esistenza di un piano d'azione condiviso e (peraltro) anche risalente a tempi non sospetti. La stessa Unione Europea i cui componenti a vario titolo hanno firmato e approvato leggi severissime sui nuovi ingressi non autorizzati, l'UE della Francia che respinge con la forza i migranti economici al confine con l'Italia, ma anche della Spagna che ha trasformato le città-cuscinetto di Ceuta e Melilla in fortezze teatro di espulsioni forzate, tra tanto da finire sotto accusa per violazioni dei diritti umani accertate da Amnesty International. Ma se quell'Europa oggi definisce l'Italia vomitevole e irresponsabile, dov'è oggi quell'Europa che ha voluto mettere nero su bianco quello che è diventato un sistematico eludere le regole?
La vicenda Aquarius non ha di certo portato gloria agli italiani. Un popolo che nonostante i tanti temi sui quali si vede distante anni luce dalla politica, proprio su questo la rispecchia perfettamente: dal nord al sud d'Italia si inneggia alle più disparate azioni e reazioni, dall'ormai celebre "A casa loro", al più ironico "Accoglili pure, ma te li tieni tu" o agli antislogan 2.0 come "#ColpadiSalvini". Insulti tanti, rabbia tantissima; eppure nessuno, tra gli insorti, sembra riuscire a trovare un punto di contatto e di discussione, sia esso una conversazione tra comuni cittadini o un tavolo di confronto con i tanto distanti e criticati politici. E non importa se si hanno idee differenti, anzi è fondamentale che sia così. Ma conterebbe molto di più raggiungere i compromessi su cui la politica stessa si fonda. Anche quella "dal basso". Però forse a qualcuno comincia a fare comodo sapere che al di sotto di quel fondo, da cui si pensa di non riemergere più, ci sia un livello ancor più basso. Un livello occupato da qualcuno con cui potersela prendere "gratis", qualcuno che sappiamo benissimo che scappa dalla guerra ma che ci fa comodo sentire inappropriato e diverso. Quasi per distrarci.
Quantomeno non ha vinto nemmeno la criminalità, quella malavita che, come la storia insegna, ben prima di ogni sistema politico e normativo riesce ad adattarsi a una crisi per fare di necessità virtù, e che in tempi record ha trasformato l'accoglienza di esseri umani bisognosi in un vero mercato di esseri umani, beni di prima necessità e alloggi; 629 "prodotti" in meno nell'odierno business dell'immigrazione non saranno poi così tanti, ma sarebbero stati comunque un bel guadagno. Quel business denunciato ormai a più riprese dalle forze dell'ordine e da mezza stampa italiana e non, che sfruttano il cameratismo tra appartenenti a gruppi politici o pseudo tali, o la connivenza delle mafie locali e internazionali, per creare veri e propri antisistemi di gestione delle emergenze che trasformano ogni migrante in una voce di bilancio. L'emergenza c'è, costante e implacabile. E l'antisistema cresce, emergenza dopo emergenza, e inganna, truffa e infanga i concessionari di aiuti umanitari che finiscono a condividere il calderone dei "cattivi". Come per i rifiuti, ma trattando allo stesso modo gli esseri umani.
Ed è davvero inutile precisare il fatto, già solare, che tutto tranne che vittorie e conquiste porteranno a casa coloro che casa l'hanno abbandonata. I 123 minori, gli 11 bambini, i futuri figli delle 7 donne incinte sulla Aquarius che insieme a tutti gli altri hanno rischiato gravi e già noti problemi di salute, come l’insufficienza renale, tipica patologia degli immigrati disidratati e prosciugati dai viaggi disumani, condizione che non puo essere guarita. Fino a qualche giorno fa erano in pericolo di vita, oggi sono al centro di un caso politico e di un gioco di potere del quale non sanno assolutamente nulla.
Né vinti, né vincitori. Nessuno più forte degli altri, nessuno più forte di prima. Nessuno ha davvero ragione, nessuno può essere guardato dall'altro in basso come chi ha torto a senso unico. Le già pericolanti basi su cui poggiava la realtà dell'immigrazione sembrano ora un filo sottile su cui barcolla l'Europa intera. E a questo punto sarebbe facile trovare chi ci ha perso di più: l'umanità, il rispetto, la vita, chi si è battuto per le conquiste sociali. Sarebbe davvero troppo facile, come sparare sulla croce rossa. Ciò che più di ogni altra cosa o persona ha perso questa battaglia, fatta di compromessi inaccettabili, di lotte intestine, di dimostrazioni di forza e di porti aperti o chiusi, è il dialogo. Perché il dialogo è potere, e se c'è crea e distrugge; ma se non c'è, intorno a sé fa un vuoto assordante. Non c'è stato dialogo nelle sue forme più basilari, sotto forma di argomentazioni, botta e risposta, tavoli di confronto o scambi di intelligenti e garbati commenti alla tastiera; né tantomeno nelle sue declinazioni più profonde, inteso come interazione produttiva, aggregazione, coesione, azione all'unisono, simbiosi. Al di là dei freddi numeri, delle barriere fisiche e culturali, delle minacce ricevute da mani che reggono coltelli o penne e libretti degli assegni; al di là del facile populismo "pro" e "contro" che ora si fregia ora di valori come l'umanità, ora scaglia potenti anatemi come "via chi ci ruba il lavoro". Il dialogo è morto. Come sono morti, muoiono e moriranno ancora i migranti in mare aperto, come sta morendo la ragion d'essere del dialogo stesso, come forse sulla Aquarius è morto un pezzo di mondo.
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