A volere commentare la situazione politica in atto e quanto ci è occorso di registrare in questa settimana, si rischia di essere ripetitivi, perché non pare sia emerso molto di rilevante, a parte l’emissione di un provvedimento sull’Imu che, dopo la tanta fatica che è costato, dispone solo un rinvio di qualche mese, solo parziale, di detta famigerata tassa, cosa che, in sé poco comprensibile, sicuramente sa un po’ di ridicolo.
Questo governo è presieduto da persona degna ed animata da buona volontà, ma l’impressione che dà è quella che esso proceda annaspando e con l’aria di recitare un ruolo di ampiezza e di solidità di poteri, obliando che invece è sorto come governo di emergenza e che pertanto meglio avrebbe fatto e farebbe a impegnarsi solo su tre o quattro cose indispensabili, con urgenza e praticità.
Sbaglia infatti a non porre sul tappeto subito, senza aspettare tre o più mesi, e con chiarezza di obiettivi, la riforma della legge elettorale. Senza questa, la precarietà non potrà esorcizzarla e il suo procedere sarà sempre sotto continui ricatti e contrasti, con i quali potrà pure durare - come durano pure gli amori precari, specie se retti da convenienze-, ma da governicchio che, dovendo tirare ad ogni costo, cerca di sbarcare il solito lunario.
Alla base dell’attualità politica italiana non c’è infatti nulla di nuovo. Abbiamo il partito di Berlusconi che, tutto sommato, continua a distribuire le carte da primo giocatore, come ha fatto per vent’anni, non per nulla è quello che più gode delle larghe intese; abbiamo il Partito democratico diviso tra vari irriducibili pretendenti al primato, e con dentro un contropartito, quello di Renzi, il quale va vantandosi di saperla più lunga non si sa bene rispetto a chi e a che cosa; abbiamo poi Grillo e il suo nutrito esercito dei quasi onesti, nel senso che sono soggetti che vogliono fare politica e goderne i benefici, ma contro la politica: il loro impegno è solo individuare ciò a cui essere contrari. E fare rumore.
Insomma il quadro stagnante è quello del dopo elezioni di febbraio, ed in esso continuano a covare i fuochi di ambizioni e di personalismi , ove tutto è un continuo prepararsi ad elezioni sempre imminenti, un terreno viscido su cui questo governo poggia, su cui dovette per forza nascere e su cui deve andare avanti per evitare la bancarotta e tenere buona l’Europa.
Fuori dai commenti spiccioli, si evidenzia che la situazione ha ragioni assai profonde, addirittura epocali, per cui ad individuarle si richiede una visione del tempo colta e sciolta dai soliti schemi interpretativi.
La politica che si pratica si è ridotta e giocherelli dispettosi del palazzo, perché non può più essere riferita a idee o principi portanti, perché non ci sono più. Lo sfascio del Partito democratico costituisce l’esempio più eclatante. In esso si combattono soggetti e seguaci che vogliono primeggiare, ma non in forza di principi auspicati o traditi, ma solo per la conquista della segreteria. Anche il celebrato Renzi che parla di rinnovamento da fare, non sa cosa vuole o può essere rinnovato nel suo partito, se non il posto di primo attore, visto che non è più evidente cosa deve essere la sinistra, e non si ha più cura di ridefinirne il ruolo, di precisare in nome di che debbono valere le sue proposte, in quale contesto incidere, anche in vista di quest’Europa che c’è e non c’è e della quale comunque si è parte. I vecchi politici non cambiano e i giovani sono solo presuntuosi e arrivisti, spesso anche simpaticamente ignoranti.
La crisi delle ideologie si è fatta crisi di idee e incapacità di dare risposte alla globale invadenza del potere tecnologico, che è poi il vero responsabile della diffusa disoccupazione e dello scompiglio nel mondo del lavoro. E senza lavoro produttivo non c’è crescita e chi lo deve dare e cosa deve crescere non è chiaro.
Anche il grillismo è figlio dell’impossibilità di sostenere i vecchi parametri della politica e l’ampia raccolta del malcontento che ha fatto, non ha futuro se non nei limiti della durata della polemica anticasta.
Si fa politica dunque con molta distribuzione di poteri e poca distribuzione di responsabilità come al solito, ma soprattutto senza mettere nel conto quanto ferve di nuovo nel nostro tempo e da quali forze oscure esso è dominato. Non c’è insomma filosofia della politica, ovvero quel progetto culturale che sappia di futuro e sul quale sia possibile sorga l’uomo nuovo capace di promuovere la svolta efficace.
Circa il presente se la passa meglio la cosiddetta destra, perché oggi destra non vuol dire altro che tutela dei soliti privilegi e consistente visibilità in televisione e nei palazzi del potere. Senza liti e impicci, nella piena convergenza dei vecchi interessi da conservare. Ma anche la destra vive di motivazioni spicciole e di poco futuro; e quando evoca valori del passato e magari non cade nella follia come accadde allo scrittore francese suicida in Chiesa, tuttavia non fa che allinearsi ai laudatores temporis acti (laudatori del passato) che già il poeta Orazio liquidò come anacronistici.
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