Si avvicina il Natale e con esso gli ultimi giorni dell’anno in corso, caratterizzati come da sempre, dalla foga consumistica che tutto e tutti fagocita convulsamente. Tuttavia se resta qualche mente che nell’approssimarsi della fine di questo 2017 vorrà riflettere su quanto abbiano vissuto o sofferto e su gli uomini che ne sono stati di più protagonisti, essa non può non pensare subito, in primo luogo, a chi proprio più recentemente ha agitato le acque del mondo, il presidente americano Trump. Personaggio impulsivo, piuttosto pittoresco, con troppa voglia di rendesi originale rispetto al suo predecessore, ha male animato la scena della politica internazionale con una specie di atto di supremazia: “sposto l’ambasciata americana da Tel Aviv a Gerusalemme, stabilendo così, io, che Gerusalemme è la capitale dello stato ebraico, gli altri seguano.” Solo che non pare abbia valutato che un atto di supremazia l’America non può permetterselo e tanto meno in quella zona, dove la pace sembra da sempre impossibile e dove solo un equilibrio precario tra le parti in causa può evitare morte e distruzione. E questo finché non si troverà la maniera di costringere, proprio così “costringere”, palestinesi ed ebrei a fare passi indietro e a negoziare la formazione di due stati e un regime speciale di internazionalizzazione per Gerusalemme: in quanto se essa è ritenuta per ovvia storia capitale ebraica, è altrettanto indiscutibile che sia capitale della Palestina. E di fronte ad atteggiamenti altezzosi bisogna parlare chiaro, ”le tue parole sian conte” direbbe Dante, cioè dire intanto agli Ebrei che la smettano di occupare territori stracciando il diritto internazionale, cosa che finora non si è fatta con forza, quasi suggestionati da una certa permalosità della diplomazia ebraica. La decisione di Trump ha ancora una volta riportato odio e sangue in quest’antica e martoriata terra di Cristo e c’è da temere che non si verrà a soluzione: che Israele continuerà a difendere le sue ragioni e il suo puntiglio, forte della sua preponderanza militare, e i mussulmani continueranno ad esprimere la rabbia della loro miseria e del loro degrado in una conflittualità disperata, coltivata ad eterno.
L’altro personaggio di primo piano sulle vicende del mondo resta evidentemente Putin. La sua Russia la si è voluta costretta da sanzioni, che non hanno comunque messo in forse l’occupazione della Crimea, ''motu militari'' come ai vecchi tempi, ed essa rimane sempre protagonista quale potenza in espansione. Intanto può vantarsi della sconfitta dell’Isis in Siria, e può continuare a proporsi come alternativa di riferimento nelle diatribe mediorientali e possibile sostegno ovunque vacillino gl’interessi politici dell’Occidente. La dialettica Russia-America, come dalla fine del secolo scorso, continua insomma a sostanziare la vicenda del mondo.
In quanto ad altre figure che hanno inquietato ed inquietano i nostri giorni, merita attenzione quel Kim nordcoreano, anzitutto per la sua teatralità; ma anche per il pericolo che costituisce. Da quel che ci si fa vedere in TV, sembra che l’unica gioia per cui viva questo personaggio sia quella di godere sfilate di missili in grandi parate militari e ogni tanto plaudire al lancio e allo scoppio di qualche micidiale ordigno nei mari vicini. Ma non possiamo essere sicuri che si tratti solo di divertimento, anzi di questa specie di burattino potrebbe servirsi il diavolo che sta sempre in agguato per la perdizione del mondo.
Ai leader guerreschi però, forse unica alternativa, e di ben altro ed assai consistente spessore, va considerata anche quest’anno la figura di Papa Francesco. Tanto più l’epoca si è accartocciata nei suoi disvalori –il consumismo, la supremazia della finanza, la corsa al possesso di armi sempre più sofisticate-, tanto più la sua voce è risuonata forte e disarmante e tanto più si è distinta nella sua autorevole diversità. Eppure vien di pensare che la celebrata straordinarietà di questo Papa, che consiste nell’essersi praticamente impegnato a fare il parroco dell’universo, potrebbe addurre a qualche errore, che il suo fare si consideri appaiato ai radicalismi di comodo e che intanto l’usura eccessiva nel tempo renda la sua voce debole.
Da quanto fin qui esposto può estrarsi un consuntivo sullo scorrere di questi nostri tempi, assai semplice quanto drammatico. La due grandi potenze delineate già dal secolo scorso sono rimaste tali e quali arbitri dei destini del mondo, poiché possessori dei più nutriti arsenali di guerra. Ora, dato che il mondo come aggregato umano ormai vive di affarismo economico, sia pure concentrato nelle mani di pochi, le cosiddette potenze emergenti in quanto a economia, e che lo sono sempre a pro di minoranze ricche, corrono a volere esserlo anche dal punto di vista militare. Dal che deriva che il futuro del mondo dovrà reggersi su far più paura gli uni agli altri, col volgersi ora contro questo ora contro quello, il che è davvero un modo assai strano di progredire. E non pare che il divenire dei tempi ne sappia sperimentare altro.
Passando poi da queste considerazioni alla visuale delle cose di casa nostra, se ne avverte di conseguenza la loro pochezza. Infatti, quale senso attribuire alle questioni politiche di paesi di poco peso economico e militare come l’Italia? Francamente al solo sentire delle questioni che vi si agitano, delle liti partitiche e personalistiche in prossimità di elezioni, si ha la sensazione di avvertire nient’altro che dei litigi come da condominio di periferia. Eppure è necessario occuparsi anche del proprio modesto paese e della sua conduzione, per quanto ormai destinato a barcamenarsi entro e poco oltre gl’interessi europei.
Proprio di questi ultimi giorni è l’intensificarsi del bailamme tra partiti e partitini, che sorgono in Italia come funghi, in vista di prossime elezioni, e in un’atmosfera particolarmente inquietante oltre che rissosa a causa soprattutto di vicende bancarie, nelle quali s’è invischiata la nostra buona borghesia fattasi democraticamente truffaldina. Dal che si evince da un lato il tramonto di un’idea politica di sinistra intesa come propulsiva di progetti di maggior giustizia sociale; dall’altro il fatto che il vivere sia pure inconsciamente la marginalità e il disinteresse per il bene collettivo del paese, comporta l’affarismo a tutto campo e la corruzione diffusa. Né si vede o prevede l’apparire di un demiurgo che parli di cultura della politica come scienza di lotta e di scelte sulla base di idee nel fluire ineluttabile dei tempi, tutt’altro. Basti osservare quel che accade nella pratica dei nostri giorni, in cui si rinnova il Parlamentino in Sicilia rimettendo in sesto la quasi solita accozzaglia di politicume; e come, in vista del voto per una nuova fase politica dell’intero paese, riassurga quasi a far da arbitro il vecchio già deprecato Berlusconi. Sarà magari la legge dell’arcano andazzo delle cose umane. Comunque, nell’affrontare l’attesa di un anno nuovo non ci restano che timori: che non scoppi una catastrofe atomica, che le maree incontrollate di migranti non finiscano per guastare quel che resta della nostra civiltà, la quale è già alquanto corrotta dall’avidità della finanza e dal buio di umanità imposto da un tecnologismo fattosi ossessione.
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