Le vicende di questi ultimi tempi ci portano lontano dalle beghe della politica attuale nostrana e, investendo problematiche di tipo epocale, destinate a scuotere la quiete della cultura occidentale, cioè quella della crescita bancaria, ci portano a dover meditare sulle cronache estere.
Allora partiamo da un caso emblematico. La nostra Federica Mogherini è figura simpatica, distribuisce volentieri sorrisi e baci nel gestire la politica estera europea, di cui sarebbe alto rappresentante, ma evidentemente questo pare non basti a darle il dovuto prestigio, se nella trattativa di tregua per l’Ucraina, promossa da Francia e Germania, lei non c’era. In un frangente così grave come la crisi Ucraina, che significa guerra nel cuore dell’Europa, è stata considerata presenza superflua. Ed è inutile avanzare giustificazioni e distinguo, quel non esserci è da considerarsi inaccettabile e offensivo. Non sarebbe tale però solo a un patto, che ci si renda conto e si accetti che questa Europa dalla fisionomia politica definita non esiste. I suoi organismi, a parte quelli che riguardano i soldi, sanno tutti di araba fenice “che ci sia ognun lo dice, dove sia nessun lo sa”. Sta di fatto che è vero che le cose stiano purtroppo come stanno, ma nulla avrebbe impedito che Merkel e Hollande si presentassero anche a nome della Mogherini e questa comunque avrebbe potuto avanzare delle proposte con cui i detti confrontarsi. E infine, se una politica estera effettiva la Mogherini non può farla perché l’Europa unita non c’è, nell’attesa che possa esserci (ma ci sarà mai?), il suo compito sarebbe stato quello di fare o di dire qualcosa di apprezzabile come se ci fosse. Per esempio, sulla crisi Ucraina ci si sarebbe aspettato qualcosa di più che un dichiarare di essere di qua e di là: quando dice che la Russia ha infranto il diritto internazionale ma visto che è geograficamente vicina non ci si può litigare troppo, cosa può significare? Noi abbiamo capito che l’Europa non è in grado di sostenere iniziative e che oggi per l’Ucraina dobbiamo solo “annacarci” tra le parti, attendere che gli eventi maturino senza nostri impegni e lasciare che Putin, che ha capito il gioco, ottenga una Ucraina disarmata sempre alla sua mercé e sia libero di avanzare carri armati ovunque e come gli pare.
C’è poi in atto, altrettanto grave, la questione della Grecia, per la quale i guai che si temono potrebbero investire non una zona parziale ma tutta l’Europa; perché s’innesterebbe un terremoto negli equilibri dell’eurozona, con reazioni nevrotiche dei poteri finanziari, che sono più feroci dei tagliagole. Nella sostanza si auspica che i guai continuino a piangerseli solo i Greci, come accade dal 2011. Però, poiché questo non è neppure giusto, andrebbe finalmente ricordato che, quando ci si mette in casa qualcuno bisogna sapere bene chi è e di cosa ha bisogno, e se questo non lo si è fatto e il soggetto porta poi guai, non resta che cacciarlo o tenerlo a proprie spese. Così bisogna decidersi senza troppi tentennamenti. Ora, questa Europa che ha a suo tempo aperto la porte a tutti a pro degli affaristi, è stata felice d’imbarcare anche la Grecia? Ebbene, ora se la tenga, e sappia che parente povero va soccorso e non umiliato, né gli si può imporre di restare dentro e far la fame da solo. In una comunità, il pane che c’è va distribuito adeguatamente e chi ne aveva molto succede che deve privarsene in parte per darne a chi ne ha di meno. In Europa si è in grado di recepire questa norma o quest’Europa è solo un’espressione geografica destinata ad andare in disuso? Occorre rispondere con chiarezza a questa domanda, una buona volta per tutte.
La terza questione, ed è forse la più grave, riguarda i confini europei del Mediterraneo. Anche qui l’Europa con la sua politica “si annaca”, perché, a quanto pare, per l’Europa il Mediterraneo, ove al centro sono l’Italia e Lampedusa, è una faccenda che la riguarda un po’ si e un po’ no. Molto no se c’è da impegnarsi in prima linea nel fornire mezzi o persino ricorrere alle armi.
Infatti l’Europa dà una mano finanziaria all’Italia, in modo obiettivamente insufficiente, e non vuol sapere altro. Non vuol sapere soprattutto che c’è la Libia ingovernabile, facile preda di Al Qaeda, dei Jihadisti, degli assassini dell’Isis, i quali ora pure gestiscono, arricchendosi, il traffico dei migranti, fuggiaschi, clandestini e avventurieri assortiti. Ci sarebbe da intervenire per non essere, come in effetti ci si è ridotti ad essere, con operazioni di marina altisonanti, complici degli affari degli assassini; e ci sarebbe da intervenire per una missione pacificatrice eventualmente coattiva. Ma non se ne ha il coraggio, per cui si è ricorsi senz’altro al futile paravento di tutte le questioni internazionali che si chiama ONU, un organismo che non ha mai risolto nulla così com’è strutturato, con le cosiddette grandi potenze che, col potere di veto, hanno lì la sede per continuare a farsi la guerra fredda.
Magari si auspica che gli islamici se la vedano tra loro, combattendosi anche per i nostri interessi, giacché noi, trincerati dietro la conclamata necessità di risolvere le cose per via diplomatica, cioè dando sempre la ragione un po’ qua e un po’ là, restiamo ad aspettare che si risolvano bene o male da sé, perché ormai la guerra per l’Occidente, tutto bilanci e pil, farebbe la bubù.
Anche in questo caso siamo d’accordo che una spedizione militare l’Italia è meglio se la può evitare, ma intanto, difronte all’ipotesi di un caso disperato di aggressione, se intervenisse una ineludibile necessità, i nostri eleganti Generali hanno pronto qualche piano per un intervento, per proteggerci? Hanno studiato, ad esempio, come costringere in sacche inoffensive i terroristi e i tagliagole? E infine qualcuno ha proposto come distruggere sulle loro spiagge di partenza barconi e gommoni? Hanno davvero un’utilità i sofisticati e costosi armamenti di cui si vuol disporre e i nostri alleati Stati Uniti sono ancora una forza d’appoggio occidentale o dobbiamo fare da soli da europei o da soli da italiani? E’ venuto il momento di porsi seriamente queste domande. Perché appunto le guerre si evitano quando è in atto una studiata prevenzione.
Comunque, in conclusione, dalle vicende di politica estera e dal loro commento, consegue una duplice lezione. Oggi la diplomazia occidentale continua a sostenersi su un’idea di globalizzazione che possa mantenersi pacifica onde continuare a sussistere come globalizzazione degli affari, ma non tiene conto che questa è già fallita, perché l’istinto dell’appartenenza nazionalistica non muore finché ci sarà sempre l’uomo di potere che vorrà servirsene per prevalere e ricondurre gli affari nei limiti di un accrescimento del suo potere. Del resto si sa da consolidata filosofia che non c’è l’uomo come entità politica che sia buono, altruista, può esserlo solo per coazione o per religione. D’altra parte, bisognerebbe cominciare a ricredersi su un’idea di crescita del tutto poggiata su borsa e consumo (oggi, ad esempio, si parla di ripresa e con questa s’intende di tornare appunto all’espansione degli affari e dei consumi), per cui non si è pronti agli schiaffi della storia, che impongono reazioni decise anche a prezzo di rinunzie e sofferenze. La storia non si evolve secondo i principi da noi cullati, ma a volte si serve anche d’insorgenze inusitate e irrazionali, che possono essere forme di nuova barbarie, impreviste e violente, ove si usino pure gli strumenti del progresso come a crudele ritorsione e infatuato corrivo. A proposito abbiamo visto già abbastanza, e non è certo finita. Per cui, guai a fidarsi di diplomazie sempre tergiversanti e a trovarsi sguarniti nell’irruenza degli eventi.
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