E’ passata la prima settimana dall’esito delle elezioni, ed è stata davvero una settimana di passione, la prima di molte altre che se ne prevedono. I vincitori, dopo gli entusiasmi per il successo, sono entrati in fibrillazione tra la voglia di andare quanto prima al governo e la constatazione che la cosa non è facile, anzi per essi forse non è neppure auspicabile; gli sconfitti, più che leccarsi le ferite, si sono lasciati andare a più dilanianti recriminazioni sugli errori e ai contrasti interni. All’opinione pubblica piuttosto non saranno sfuggiti due gravi atteggiamenti, che sanno d’incredibile. Il primo è quello emerso dalla stanza di comando del Partito democratico sconfitto, che ha fatto pensare a quei ragazzini permalosi e immaturi i quali, dopo aver perso una partita, vogliono sfasciare il giuoco. Cioè subito è stata dichiarata l’indisponibilità a qualsiasi tipo di collaborazione fosse richiesta nell’interesse del paese, il Partito democratico si pone fuori da tutto, incapace della dignità di chi sa perdere e in linea con la sua tipica spocchia di sinistra imborghesita.
L’altro riguarda l’immediato, e quindi poco riflesso e poco politico, ricusare qua e là un eventuale possibilità di trattativa con I Cinque stelle. E come, ci si rifiuterebbe di discutere col partito che da solo ha avuto la maggioranza numerica di consensi? Ci si rifiuterebbe cioè di riconoscere la volontà della più consistente massa di votanti? Forse qualcosa cambierà nei giorni a venire o no, ma intanto queste due constatazioni documentano che la tracotanza dei Partiti, specie di quello che finora ha di più gestito il potere in Italia, si è fatta tale da non tenere in alcun conto le urgenze del paese . Insomma la partitocrazia ha rivelato il suo volto di male insanabile: le mire e le beghe particolari che si covano nelle e tra le segreterie dei partiti vorrebbero contare di più dei problemi della gente e delle necessità internazionali cui l’Italia è tenuta ad ottemperare. Questa è la realtà: non venire ad alcuno accordo, non sapere rinunziare a nulla di quel che si agita nel proprio covo, anzi favorire lo sfascio, si scambia per intelligenza politica, per capacità di manovra a tutela del prestigio di un simbolo, mentre è esattamente l’opposto. Perché, come detta antichissima e consolidata massima: la politica è l’arte del possibile e sapere compromettere a tempo è grande sapienza. Ma forse la sapienza politica coincidente con la cultura, che è pure sinonimo di saggezza, non è di casa tra le figure rappresentative della politica che finora ci ha guidati, evidentemente fallendo; e si teme che non vada meglio con quelle del futuro prossimo.
Alla luce di queste considerazioni ben si spiega il recente richiamo del Capo dello Stato al senso di responsabilità, solo che tale richiamo ciascun partito lo interpreterà e utilizzerà a suo modo fino a renderlo inutile e tirerà dritto verso la sua prospettiva di potere. Perciò si continuerà a rendere difficile la formazione anche di un governo a tempo, magari su poche soluzioni concordate circa i problemi urgenti, specie di politica estera, militare ed economica, si lascerà l’Italia in un bilico pericoloso. Sarebbero queste le condizioni ideali per l’avvento di una dittatura, ma che per fortuna i tempi non più consentono; comunque è certo che se subito si tornasse alle urne, poiché la gente valuta e non perdona, i deprecati Cinque stelle e/o i Salvini avrebbero finalmente quella maggioranza assoluta che porrebbe in estinzione i partiti tradizionali, già semi- esausti.
Ora dunque lasciamo scorrere altre settimane di passione, sperando in qualche sbocco provvidenziale, e intanto, per quel che ci riguarda come opinionisti fuori dalla mischia di quel che è stato e sarà, fermiamoci ad altre considerazioni che paiono a margine ma che sono di fondo. Una riguarda la mancanza in Italia di veri e prestigiosi uomini di stato che dura da troppo tempo; la politica intenta a riprodursi senza nuovi slanci ideali, non ne ha prodotti. Qualcuno ha sperato in Renzi, vedendo il lui l’uomo nuovo innovatore, e invece è stato uno che ha troppo personalizzato il potere, del partito ha fatto suo uso, bleffando sui problemi concreti della gente, finendo perciò per perdere l’uno e mettere in crisi l’altro. Molta fiducia ha giustamente meritato Gentiloni, personaggio obiettivamente di tutto rispetto, ma in quanto a vero prestigio politico internazionale francamente è parso come uno che “è meglio che niente”. Infatti lo si è visto stringere mani qua e là, abbracciarsi con gli altri leader, mentre frattanto in un modo o l’altro ora ci fregava la Francia, ora la Germania, ora l’Olanda, e per affari economici, assegnazione di posti e sedi, onere di migranti. Perché, tutto sommato, la verità è che il nostro paese non può produrli questi politici di alto profilo, anzitutto perché è un paese dove si cura poco il prestigio nazionale e molto, assai di più, quello municipale; soprattutto perché non è un paese coeso.
Ed ecco l’altra drastica verità che è emersa ulteriormente da queste ultime elezioni. Oggi se il Nord vota in un modo, specie in difesa dei suoi interessi di bottega, e il sud in un altro modo, è chiaro che l’unità effettiva, sostanziale, del paese non è avvenuta; non è stata curata da nessuna politica dal Fascismo in poi. Ed è questa una realtà riaffiorata su cui bisognerebbe attentamente meditare e su cui fondare il futuro impegno di una nuova fase della politica, se libera della solita trita retorica delle promesse elettorali.
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