Si fa sempre più irta la strada di chi è chiamato a scrivere sulla situazione del Paese. Anzitutto, infatti, bisogna metabolizzare le notizie, cuore e cervello si rifiutano di accettarle. E si rifiutano perché non esistono, soprattutto in chi ha una certa età, i recettori in grado di tradurre i messaggi che provengono dall’ambiente esterno. Ma neanche i giovani se la passano meglio. Dunque, un ergastolano minaccia apertamente, e da tempo, un magistrato. Tanto da impedirgli di partecipare, per esclusivi motivi di sicurezza, a un’udienza del processo sulla presunta trattativa Stato-mafia. E a proposito di “tanto”, appare in un’intercettazione di Riina, perché è di lui che sto trattando: “Tanto deve venire al processo, è tutto pronto. Organizziamola questa cosa, facciamola grossa, in maniera eclatante, e non ne parliamo più, dobbiamo fare un’esecuzione come quando c’erano i militari a Palermo”. Che Riina possa usare l’aggettivo eclatante, mi sorprende. Forse in carcere ha imparato ad esprimersi in modo ineccepibile. Tuttavia, credo che i pericoli per il magistrato non provengano solo dal boss. Certo, pesca nel torbido, ma ricordo perfettamente le “menti raffinatissime” del Signor Giudice Falcone. Ribadisco che quell’aggettivo non mi convince. E di menti raffinatissime ce ne sono state ed evidentemente ce ne sono ancora in attività. In ogni caso: è mai possibile che si consenta a un pregiudicato di quel livello di interagire con degni compari di prigionia? È mai credibile? È mai giusto? È mai tollerabile? I ministri Cancellieri e Alfano hanno qualcosa da dire a tal proposito? O meglio: hanno o avrebbero qualcosa da fare? Credo di sì, e prima provvedono (non provvederanno) meglio è. Sempre in ogni caso, il Signor Giudice Di Matteo ha ricevuto nel 2012 un documento anonimo, a quanto ne so con lo stemma della Repubblica, con il quale lo si avvisava di essere spiato da uomini delle istituzioni (così recita lo stesso documento). Orbene, è chiaro che Riina non può avere carta intestata ad hoc. Anche se ormai non mi meraviglio più di nulla, mi rifiuto di credere che il mittente sia stato lui. E allora? Un mix di individui che complottano, probabilmente. Una possibile nuova tragedia nella quale molti recitano parti da protagonista, ancora probabilmente. Non conosco il Signor Giudice oggetto di minacce, ma “so” che mi posso fidare. E mi fido, infatti. Ormai ho un certo istinto che mi guida e mi fa distinguere l’oro dal piombo. Serio, riservato, affidabile: ecco chi è. E, soprattutto, uomo vero delle Istituzioni. In quanto tale, non suscita, perché non può suscitare, dubbi di alcun genere. Ricordo quando il Signor Giudice (insisto!) Giovanni Falcone fu chiamato a Roma dall’ex ministro Martelli. Molti corvi ne approfittarono per spargere veleni: ecco, ha lasciato Palermo per brama di potere, ecco di qua ecco di là. Non abboccai l’amo, certi Uomini sanno suscitare fiducia totale. E se anche avessi, puta caso, saputo di un suo conto corrente all’estero, avrei pensato a fondi da usare esclusivamente per contrastare i mafiosi. Ebbene, adesso si vocifera che il Signor Giudice Di Matteo sarebbe impegnato in maniera relativa e che sempre in maniera relativa la sua sicurezza sarebbe in pericolo. Perché? Perché si ritiene che la mafia abbia ricevuto colpi mortali. Del resto, si vocifera sempre, Riina e Provenzano sono in carcere e non possono nuocere. Sì, sono in carcere, ma il livello più pericoloso nella lotta alla mafia si raggiunge quando il coraggio e il senso del dovere del magistrato impongono indagini in alto loco, quando si cerca di individuare le famose menti raffinatissime. Ecco perché le minacce attuali potrebbero essere avvisi di pericoli reali. Ebbene, che lo Stato agisca una volta per tutte! Proporre l’adozione di un Lince, correttamente e giustamente rifiutato, non è il provvedimento in grado di fornire protezione adeguata. Se veramente, faccio sinceri scongiuri, quindici chilogrammi di tritolo sarebbero già arrivati a Palermo, non servono né lance né frecce, ben lo sappiamo. Serve, invece, pretendere che funzionari statali non si avvalgano più della facoltà di non rispondere. Serve pretendere che tutti gli uomini delle Istituzioni collaborino senza riserve nella ricerca della verità. La sicurezza dei giudici e degli uomini di scorta impegnati sul fronte di questa maledetta piaga si garantisce soltanto se si smantelleranno del tutto i cosiddetti pezzi deviati del sistema. Altro che lance e frecce!
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