Ho letto con molto interesse un articolo di Federica Fabbretti su un episodio avvenuto di recente. Processo Borsellino Quater, tre alti dirigenti della Polizia di Stato sono stati chiamati a testimoniare. Si tratta di Vincenzo Ricciardi, ex questore di Bergamo, in pensione, di Mario Bo’, capo della Divisione Anticrimine di Gorizia e di Salvatore La Barbera, dirigente della Criminalpol di Roma. Facevano parte della squadra investigativa Falcone-Borsellino, diretta da Arnaldo La Barbera, morto anni fa. Il pool era stato costituito per svolgere indagini sulla strage di via D’Amelio. Ebbene, Salvatore La Barbera ha ritenuto opportuno non presentarsi e gli altri due colleghi si sono avvalsi della facoltà di non rispondere. La giornalista ha posto a se stessa e ai lettori la domanda: “Come può uno Stato pretendere che i suoi cittadini denuncino la criminalità organizzata, che si facciano avanti come testimoni oculari e che collaborino con le forze dell’ordine e con la magistratura, se sono proprio i suoi stessi rappresentanti, i suoi pubblici ufficiali (peggio ancora se funzionari con incarichi di comando) che si tirano indietro e si rifiutano di collaborare per arrivare alla verità e, quindi, alla giustizia? In televisione passano giornalmente spot che invitano a lottare contro l’usura, a superare la paura delle possibili conseguenze… e due dirigenti della Polizia di Stato possono permettersi di dare il cattivo esempio?”
Me lo chiedo anche io, con profondo turbamento. E aggiunge: “Che spiegazione possiamo darci, noi cittadini, di questo imbarazzante silenzio? Hanno avuto forse timore che potesse uscire fuori qualche segreto inconfessabile? Qualche elemento che potesse metterli in difficoltà rispetto il reato per il quale sono attualmente indagati dalla stessa Procura di Caltanissetta, ovvero il reato di calunnia? Come è possibile che due dirigenti della Polizia di Stato non vogliano aiutare i giudici a capire cosa successe veramente nel periodo in cui avvenne il depistaggio Scarantino?”
Già, che spiegazione? Già, com’è possibile? Di sicuro i tre alti dirigenti avranno avuto valide ragioni per non testimoniare, ma il cittadino non riesce a comprenderle. Lo stesso cittadino che continuamente viene sollecitato a collaborare con i magistrati per il raggiungimento della verità. Sulla questione è intervenuto anche l’ingegner Salvatore Borsellino, fratello del Martire. Ha scritto una lettera aperta al prefetto Alessandro Pansa, Capo della Polizia. Ecco alcuni stralci: “Mi rivolgo a Lei prima di tutto come cittadino italiano e poi come fratello del magistrato Paolo Borsellino, un servitore dello Stato che il suo giuramento di fedeltà allo Stato Italiano ha mantenuto fino all’estrema conseguenza, il sacrificio della vita. Sacrificio causato forse anche da pezzi deviati di quello stesso Stato a cui aveva prestato giuramento e che invece con l’antistato, la criminalità organizzata, aveva avviato un scellerata trattativa. Fino a ieri, quando mi capitava di incontrare un poliziotto in divisa, non potevo non provare dentro di me un sentimento di profondo rispetto e di gratitudine, non potevo non ricordare il gesto di mia madre che, il giorno dopo quella tremenda esplosione che in via D’Amelio gli aveva portato via il figlio, aveva voluto baciare, una per una, le mani delle madri dei poliziotti che erano stati uccisi insieme a lui: disse a quelle mamme che avevano sacrificato le vite dei loro figli per suo figlio. Agostino Catalano, Claudio Traina, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Eddie Cosina, avevano protetto con il loro corpo il corpo di Paolo ed erano stati fatti a pezzi. Anche loro, fino all’ultimo, avevano rispettato il loro giuramento allo Stato.
Quei ragazzi rappresentavano fino a ieri per me la Polizia di Stato. Fino a ieri e continueranno a rappresentarla sempre. Ma da ieri, vedendo un poliziotto in divisa, non riuscirò più a far dissolvere dalla mia mente l’immagine e la voce di altri due uomini, anche loro appartenenti alla Polizia di Stato, quello Stato a cui anche loro hanno prestato giuramento, che, nell’aula bunker del tribunale di Caltanissetta, dove si svolge il processo cosiddetto Borsellino Quater, dove sono comparsi in veste di testimoni, hanno taciuto, si sono avvalsi della facoltà di non rispondere”. Conclude il fratello del Signor Giudice: “A fronte di quanto esposto Le chiedo se non ritenga doverosa la destituzione di Mario Bo’ dalla Polizia di Stato per avere leso, lui sì, il prestigio dell’istituzione di appartenenza”.
Che dire? Non c’è dubbio: non si tratta di mancata fiducia nelle Forze dell’Ordine, ma non c’è altresì dubbio sul fatto che alcuni comportamenti risultino incomprensibili e non giustificabili. Per la mancata testimonianza in sede processuale, si possono ammettere soltanto casi gravi di cattiva salute, peraltro previsti e accettati dal codice. Ma non altro, soprattutto per quanto riguarda dirigenti, militari e rappresentanti istituzionali. Se si pretende collaborazione da parte di persone comuni, a maggior ragione si dovrebbe pretenderla proprio da coloro che, retribuiti, lo Stato e le sue leggi hanno giurato di difendere e fare rispettare.
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