Di questi tempi nei giornali e in televisione non si parla d’altro, cioè della necessità di una ripresa dopo la catastrofe dell’epidemia purtroppo ancora in corso e si fanno i calcoli dei danni cui si è andati incontro e di quelli che sono in previsione, ma forse poco si ragiona su che termini ci si possa avviare ad una ripresa e assai poco sembra si sia riflettuto sul significato e la dimensione di quanto è accaduto e resti incidente nella conduzione a venire della esistenza umana. Quanti hanno valutato a fondo la visione costante di grandi uomini di stato, grandi generali e gestori della potenza del mondo, operatori di ogni genere e tipo vederli aggirarsi mascherati alla stregua di tanti pulcinella, che per altro neanche fanno ridere, tristi e perplessi sul da fare e forse sul dovere dare nuovo senso alle cose? Siamo alla sconfitta più disastrosa della potenzialità umana e alla necessità di rivedere metodi e obiettivi.
Riprendere vuol dire tornare come prima? Cioè, come?
Con una classe media condannata a tirare la carretta del cosiddetto progresso dove l’umanità è vocabolo fuori uso? O non è il caso magari di rimettere più in sesto i valori essenziali della persona umana, il timore dei suoi limiti, e soprattutto imporre alla base di tutto il metro della concretezza, cioè la sostanza delle cose alla faccia delle forme, che oggi invece col loro costante perfezionarsi sembrano dettare una fatua legge del progresso?
Mentre scriviamo ecco, ad esempio, che ci si stracciano le vesti per l’apertura delle scuole. Ed è tutto un dire e contraddire su regole, banchi, distanze, maestri e professori dove mancano e dove ce ne sono troppi, su come si dovrà comunicare il sapere e in quali tempi. Nessuno che affronti l’essenziale, cioè, da ora in poi che cosa deve dare questa scuola ai nostri ragazzi; quale la sua aggiornata funzione? Alle elementari si dovrà ancora occuparsi d’insegnare a leggere e a scrivere; ma nelle classi superiori dovrebbe essere fondamentale insegnare a interpretare e, gradatamente, a valutare e confrontare. Vogliamo che dalle nostre scuole escano uomini che pensano o misurare quanta idiozia digitale i nostri tempi siano in grado di diffondere? Qui insomma si fa questione di contenuti, cioè si parla di una ripresa come richiamo all’essenziale e come avviso di pericolo che non si ricada, come può succedere, nel vieto conformismo parasindacale.
E poiché parliamo di scuola, ci viene di concludere con una considerazione. La scuola e i suoi problemi sono stati sempre trascurati dai nostri politici o messi di solito in coda. Pertanto fa un certo effetto che invece in queste settimane la riapertura della scuola è trattata come una questione di vita o di morte del paese.
Finalmente la scuola è diventata essenziale? La politica si è fatta più saggia? Finalmente si è capito che la cultura del paese poggia sui sistemi con cui essa si produce e trasmette? Forse è la volta buona per una vera buona scuola e una vera cultura? Speriamo che non si tratti invece di quel buonismo cui si ricorre quando non c’è altro di più urgente su cui litigare e allora ci si appiglia a quello su cui facilmente tutti si concorda; oppure si teme che una scuola chiusa chiuda affari e crei difficoltà al lavoro, specie se ci sono ragazzini da intrattenere e molti non saprebbero come fare. Chi lo sa.
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