Ci sono due elementi assai interessanti che nelle valutazioni in corso sul recente risultato elettorale non pare che trovino adeguati commenti: l’uno è la disfatta di Casini; l’altro che, attraverso il movimento Cinque stelle, potrebbe essersi verificato un trionfo non di politica giovane ma del giovanilismo nella politica.
Valutando il primo elemento, ne emerge chiaro che l’elettorato ha dato precisa indicazione di preferire ancora il maggioritario, e quindi ha dato scarso seguito a ipotesi di ulteriori frazionamenti, bocciando anche i tentativi di nuove aggregazioni, quali quella di Giannino o di Ingroia, evidentemente considerate superflue. Ma la quasi liquidazione dell’UDC, col suo pretenzioso Casini, significa oltretutto una ulteriore batosta a quanto sa di epoca trascorsa. E lo stesso Monti, maturo esponente di molta scienza ma non di quella politica, ha pagato il guaio della errata collocazione e quindi del fatto che il sistema partitico rimaneva ancora legato a figure di riferimento preferenziale. Un risultato, a nostro giudizio, assai positivo, che va convenientemente rimarcato.
Secondo. Circa il successo di un gran numero di giovani che andranno ad occupare gli scranni parlamentari, senz’altro non c’è che da congratularsi. Questo non può che giovare al salutare ricambio della nostra classe politica, com’era negli auspici. L’evento comunque comporta qualche supplemento di riflessione.
Anzitutto è da osservare che il maggior numero di giovani non è stato portato in Parlamento dai partiti, ma soprattutto da un movimento nato e sviluppatosi invece proprio contro i partiti. Il che conta non poco: costituisce chiara dimostrazione dello scarso amore dei giovani verso la politica come fin qui proposta e sostenuta, vuol dire cioè che sul futuro della politica pesa l’ipoteca del dover rifare tutto daccapo, a partire dalla costituzione.
Si è troppo detto e ripetuto che la democrazia ha bisogno dei partiti, ma non si è andati oltre a constatare che i partiti in Italia non hanno fatto funzionare la democrazia; non si è approfondito lo studio sui perché di questo e non si è provveduto ai ripari. Forse si è avuto paura che un’analisi seria avrebbe fatto scoprire l’aggravarsi dei personalismi tra segreterie e presidenze. A questo poi è corrisposta la mancanza di una cultura di base presso l’opinione pubblica italiana di massa, tenuta lontano dalla dialettica politica nutrita di senso storico, per cui gli organizzatori dei partiti hanno finito per costituire dei clan di affari, appena unti di qualche ideologia residua. Così si è andati avanti col lasciarsi coinvolgere acriticamente, con passione o meno, dai partiti; ma i giovani per lo più rimanevano fuori, alquanto disinteressati, come usano verso le canzoni non appartenenti alla loro generazione.
E’ stato dunque un bel mettere in forse il principio della necessità dei partiti, lasciandoci in dubbio se siamo di fronte ad un’onda nuova che s’immette nell’attività parlamentare tutt’ora in uso; o di un attacco organizzato a tutto il sistema di gestione della vita politica del paese, che si vorrebbe così reinventare. E qui ci si domanda, come? Cioè il punto dolente è: cosa ci si può attendere in concreto dai molti giovani ora divenuti deputati. Vogliono forse una rivoluzione?
Abbiamo usato in apertura il termine giovanilismo a ragion veduta. Nessuna mancanza di sincero plauso al ringiovanimento del Parlamento, ma contemporaneamente non possiamo non domandarci perplessi quanto questo trionfo di gioventù significhi efficace rinnovamento della politica, come ricerca del bene pubblico e quindi del minor male per la collettività; o invece sia piuttosto l’introduzione di un sistema di iconoclastia contro la politica per partito preso, sostenuto da slogan e da urla di “abbasso e morte”. C’è per caso da temere che nella politica, ove occorre concretezza e mediazione, abbia troppo spazio quel tipico atteggiamento dei giovani che imbarazza: irridere e non sapere poi che altro fare? Grillo li ha addestrati a questo?
Infatti se, ad esempio, c’è da curare rapporti esteri, creare lavoro, intervenire nelle calamità, far funzionare la scuola e quant’altro deve fare la politica, vanno anche bene i jeans con le toppe, ma ci vogliono anche le proposte fattibili. La politica non è la movida.
E diciamo questo solo perché ci dispiacerebbe alquanto se il fenomeno dei molti giovani ora introdotti alla politica, rischiasse di spomparsi presto, come qualsiasi fenomeno di pura contestazione o di costume. Succede infatti quando un movimento in espansione non ha poi capacità di porre e un po’ compromettere i suoi obiettivi primari al tavolo della realtà effettuale.
Dovrebbero comprenderlo proprio i giovani e rendersi conto che in fondo non ci sono giovani che prima o poi non diventano anch’essi maturi e vecchi.
Fonte: redazione palermomania.it
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