Pietrangelo Buttafuoco è giornalista e scrittore. Di recente, un suo pamphlet dal titolo “Buttanissima Sicilia”, con il quale si scaglia contro l’autonomia e lo statuto della nostra regione. Scrive: “Adesso basta. Qualcuno - Matteo Renzi, Beppe Grillo? - dica basta, perché l’autonomia sarà cosa santa e giusta ovunque ma in Sicilia no, è un flagello e trascina nel baratro l’Italia. Lì l’autonomia regionale, fonte di sprechi e burocrazia, è l’acqua che nutre l’arretratezza economica e sociale di un pezzo importante del Mediterraneo. Ed è la fogna in cui nuota la mafia. Basta, dunque”. Sono d’accordo: basta! Ma non basta dire basta, con il permesso del gioco di parole. Continua: “È urgente, infatti, come chiede da tempo Leoluca Orlando, sindaco di Palermo, nominare un commissario dello Stato al posto del governo regionale di Rosario Crocetta; è fondamentale - per come ha reclamato Antonello Montante, presidente di Confindustria in Sicilia - avere nell’Isola un plenipotenziario che metta mano alla spesa e al bilancio: il default è in agguato ma, seguendo i passaggi di legittimità, è necessario abrogare lo Statuto speciale”. Che significa, infatti, chiedere da tempo? Leoluca Orlando ha chiesto a chi? Antonello Montante ha reclamato nei confronti di chi? Non è una critica, sia chiaro, nei confronti di Orlando e Montante, men che meno di Buttafuoco che riporta le opinioni. Voglio solo dire: basta soltanto chiedere per ottenere? In questo caso, marce, fiaccolate, fuochi artificiali o raccolta di firme non sono stati elementi giudicati validi? O si è chiesto e reclamato tanto per? Insomma, si è fatto qualcosa di concreto per mobilitare le masse? Aggiunge: “Lo Statuto sarà pure nella Costituzione, ma questo privilegio, frutto dell’unica e vera trattativa Stato-mafia, può essere tagliato con un colpo di penna. E un colpo di coraggio. Non si può estirpare dalla viva carne dell’Italia un obbrobrio come l’Autonomia regionale che serve solo ai parassiti che ne beneficiano?”. Certo, tutto si può estirpare, ma è o sarebbe necessario un atto di coraggio. Appunto. L’Autore elenca poi alcuni dati negativi: la liquidazione dell’ente provincia, messa in atto da Rosario Crocetta: “dove però, al netto dell'effetto propaganda, è rimasto il malinconico risultato di moltiplicare - tramite nomine fiduciarie, peraltro, e non elettive - il numero degli enti intermedi. Da 9 province, dunque, si è arrivati a 9 consorzi più tre città metropolitane. E siccome la legge prevede che per istituire un nuovo consorzio sia sufficiente raggiungere 180.000 abitanti su più Comuni confinanti, si calcola che i consorzi possano arrivare a essere più di 20. È la fogna del potere, la Sicilia”. E ancora: “In nessun posto come a Palermo il numero dei dipendenti pubblici lievita. A ogni legislatura corrisponde un’infornata di clienti. L’autonomia, in Sicilia, a eccezione dell’ufficio del commissario dello Stato (il cui potere è limitato alla verifica delle leggi regionali con la legittimità costituzionale) non ha strumenti di controllo. E non c’è quindi notizia che turbi il già disastrato status quo di un mostro burocratico-politico in cui gli enti mangiasoldi, in liquidazione da più di trent’anni, sono la testimonianza di una catastrofe socioeconomica”. E cita “l’Ente minerario, che ebbe velleità di contrastare l’Eni; con l’Espi, l’Ente siciliano di promozione industriale, sorto per fare concorrenza all’Iri; e infine con l’Irfis, banca regionale proiettata nell'empireo della finanza per dare filo da torcere a Mediobanca. Senza dimenticare le varie monadi clientelari, la più famosa delle quali è quella dell’elargizione stagionale ai forestali - gestiti dalla Regione”. Io aggiungo alcuni consorzi industriali. Per non citare lo scandalo degli scandali, cioè la “formazione”, che definisce giostra. La situazione è così catastrofica che “il guaio della mafia, persino quello, viene dopo”. Ripeto: condivido del tutto le opinioni di Buttafuoco. Tuttavia, chiedo: se per pura ipotesi, la Regione fosse commissariata, chi sarebbe il Commissario? Non sono mica fiaschi, di questi tempi! Una persona onesta, capace, coraggiosa: no, non sono fiaschi. Io un nome ce l’avrei, anzi ce l’ho: Cesare Mori, il “prefetto di ferro”. Ha tutte le summenzionate qualità. Tutte! Nella vita contano i fatti, Mori ha già dimostrato il suo valore. Per undici anni ha operato nella zona di Trapani, costituendo una spina vera nel fianco della mafia. Poi la nomina a prefetto di Palermo. Ma è inutile tessere le sue lodi, il mondo ancora ricorda gli straordinari risultati raggiunti. Purtroppo, la perfezione non esiste. E uno sbaglio, enorme, lo ha commesso anche lui: troppo zelo. A proposito di zelo: et sourtout, pas trop de zèle. E soprattutto, mai troppo zelo. Sì, un errore gravissimo. Mori ha rotto troppo le scatole ed è stato richiamato a Roma, nominato Senatore. Insomma, promoveatur ut amoveatur. E la faccenda si è chiusa. Non ho dubbi, però: è la persona giusta al posto giusto. Ho totale fiducia, illimitata fiducia, cieca fiducia. C’è, però, un piccolo problema: è morto a Udine il 5 luglio 1942. Peccato! Certi uomini non dovrebbero morire mai. E quindi? E quindi, sono convinto che – mi permetto di adoperare il titolo del breve saggio di Buttafuoco – la Sicilia resterà buttanissima.
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