Tumminia, perciasacchi e monococco: tutte specie di grani antichi che negli utlim tempi sono tornati alla ribalta. Ma si tratta di una moda passeggera o di una scelta culturale da parte dei consumatori? Se lo sono chiesto una cinquantina di biologi che hanno partecipato a un convegno organizzato a Palermo dall'Abp (Associazione biologi della Provincia di Palermo), al quale ha partecipato, in qualità di esperto, Giuseppe Russo, ricercatore del Consorzio di Ricerca "Gian Pietro Ballatore”, che da oltre quindici anni si occupa di grano duro.
«I grani antichi, o più correttamente varietà locali da conservazione - sottolinea Russo - sono per lo più popolazioni di grano duro a taglia alta e a bassa produttività, i cui semi sono stati salvaguardati da agricoltori custodi che ne hanno garantito negli anni il mantenimento. Il termine “antico” fa riferimento al fatto che queste varietà di grano sono le stesse descritte già negli anni 40 da un ricercatore siciliano, Ugo De Cillis, e rappresentano un vero e proprio patrimonio culturale per l’agricoltura siciliana. Gli esperti parlano in questo caso di conservazione del “germoplasma”, intendendo con ciò la tutela e la custodia del patrimonio genetico associato a queste sementi, frutto dell’adattamento di queste popolazioni all’agroecosistema siciliano e vera espressione di biodiversità nel nostro territorio».
Negli ultimi anni si assiste a una vera e propria ricerca da parte di una fascia sempre crescente di consumatori di prodotti derivati da questi grani. Il problema, afferma però il ricercatore del Consorzio Ballatore, è che «non esiste al momento un sistema di certificazione capace di garantire il consumatore sulla reale identità e purezza del prodotto. Troppo spesso sono presenti nelle pizzerie o nei panifici, prodotti per i quali viene dichiarato l’utilizzo di sfarinati puri al 100% di “grani antichi”, ma all’occhio dell’esperto non sfugge come molti di questi prodotti sono stati ottenuti da miscele, ricorrendo al taglio degli sfarinati con grani moderni o ricorrendo all’ausilio di miglioratori per rendere l’impasto più soffice e lavorabile».
Il tutto andrebbe quantomeno dichiarato al consumatore, che solitamente è disposto a riconoscere a questi prodotti un valore aggiunto. Tanto per fare un esempio: la pizza “in purezza” di perciasacchi o di tumminia, non può essere larga e soffice quanto quella ottenuta con farina di grano tenero o con sfarinati di grano duro “moderni”, caratterizzati da glutini più elastici e “strutturati”.
Inoltre, sempre sui grani antichi, il consumatore è troppo spesso esposto a informazioni poco solide o prive di fondamento scientifico. «Un esempio - ammette Russo - è un recente articolo pubblicato dal Giornale di Sicilia, che è poi rimbalzato su altri giornali online, che riportava una serie di dati e informazioni assolutamente prive di fondamento».
Nell’articolo, come osserva l’esperto, si affermava erroneamente che «le varietà di grani antichi hanno un glutine molto basso, da 8 a 10, mentre quelle moderne si attestano attorno a 60. Inoltre, è stato scritto che questi grani sarebbero fuorilegge».
«Pure fandonie - precisa Russo -. I grani antichi e i grani moderni contengono quantità di glutine pressoché paragonabili. Quello che cambia è la qualità del glutine che risulta meno elastico e meno tenace nelle varietà da conservazione. Questa peculiarità potrebbe essere alla base del gradimento di questi prodotti da parte dei soggetti che soffrono della cosiddetta “gluten sensitivity” o “wheat sensitivity” (circa il 6% della popolazione); è però necessario sottolineare che non è possibile consentire l’uso dei “grani antichi” ai soggetti celiaci».
«Diffondere informazioni sbagliate contribuisce a banalizzare il valore associato alla cultura del grano duro in Sicilia. Il rischio - conclude Russo - è trasformare una opportunità di sviluppo in una moda passeggera. O ancora peggio si rischia di allontanare il consumatore da una corretta alimentazione, facendogli percepire come “pericolosa” l’assunzione di pane e pasta ottenuti da grani convenzionali, che invece sono alla base del successo della dieta mediterranea».
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