L’eco della conferenza del G7 agricolo tenuta in questi giorni a Bergamo non ha avuto la risonanza che si meritava. Si sa, Bergamo, o meglio parte di essa, non ama parlare tanto degli altri, sorniona e austera com’è. Se si parla di fame, di bambini oltremare che muoiono per la scarsezza di cibo, il silenzio è quasi d’obbligo. C’è il referendum, del 22 ottobre, sull’autonomia in Lombardia e Veneto per l’attribuzione di condizioni particolari di autonomia, e relative risorse, in considerazione della specialità della Lombardia cui pensare e che, per i lombardo-veneto, la consultazione abbia l’esito sperato. Il problema della fame, nel nostro Sud e nei Paesi del sottosviluppo può attendere. “Fame? Vai a lavorare!”, si dice in bergamasco, come se la fame fosse il problema di uno e non di tanti milioni di “altri”.
Eppure, la Sicilia agricola gravemente ammalata, il complessivo territorio del nostro Sud in attesa di sviluppo agricolo, la fame nel mondo, sono stati i temi cardini di denuncia e di stimolo a “cambiare rotta”, al G7 agricolo di Bergamo.
Obiettivo primario, la sfida sempre più difficile affinché la fame si riduca a livello zero. Se ne è parlato tanto al G7 agricolo, la Fao in testa; si è discusso sul problema, sono arrivate dagli intervenuti denunce accorate, nella città in cui impera lo spirito della Lega Nord, con dati alla mano e dibattito culturale, al di fuori dei canoni leghisti, ed è forse quest’ultimo motivo al quale addebitare tanto silenzio sulla conferenza dei G7.
L’importante conferenza pubblica ha sottolineato che l’obiettivo essenziale da raggiungere, cioè l’azzeramento della fame nel mondo, è nella piena assunzione di responsabilità dei Grandi del mondo, e come ha voluto evidenziare il ministro dell’Agricoltura Maurizio Martina.
Anche la Chiesa ha fatto sentire la sua voce – già con il Papa in visita alla sede della Fao a Roma - con l’intervento del segretario generale della Cei, monsignor Nunzio Galantino, che da “uomo del Sud”, proveniente da una terra a vocazione agricola, ha puntato la sua attenzione su una determinata politica che sorvola, o stenta di ignorare, il reale problema della fame, chiedendo che l’operazione umanitaria “zero fame nel mondo” vada oltre i calcoli politici per potere avviare un nuovo modello di sviluppo.
La questione posta sul tappeto, investe la responsabilità dei Paesi nel mondo più ricchi che quando si parla di bambini che ogni giorno muoiono per fame nei Paesi senza sviluppo, usano il ”braccino corto” nella politica di sviluppo economico e sociale mondiale.
Dalla conferenza dei G7, a Bergamo, si è parlato anche di cifre che fanno venire la pelle d’oca: sono attualmente 815 milioni di affamati (bambini, uomini e donne), 240 milioni di immigranti, il 40% in più rispetto al 2000; le disuguaglianze sono in aumento, e pertanto serve subito “un freno” con la decisa volontà di trovare una politica umanitaria globale che sappia equilibrare il sistema agricolo tra produzione e distribuzione, estraendolo dal sistema consolidato del bene che risponde a leggi di mercato di sfruttamento delle risorse agricole e con cui l’interesse affaristico annulla l’interesse dell’altro.
La denuncia dei G7 ha riguardato anche lo sfruttamento delle risorse agricole, a favore dell’export, del nostro Sud (Sicilia, Puglia e Calabria in primis) , con gravi conseguenze sociali ed etiche, fame e disinteresse: i coltivatori del Nord e del Sud della Coldiretti, guidati dal presidente Roberto Moncalvo, sono andati, nel giorno del G7, a Bergamo, provenienti anche dalle valli bergamasche in cui il leghismo non trova proseliti, per chiedere che si fermino le speculazioni politiche sulla fame e che si attuino sviluppi agricoli non globali ma essenzialmente locali e non più politiche che alimentano la povertà.
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