Il nuovo Piano nazionale per l’integrazione dei rifugiati fa discutere e indignare molti italiani. Il Piano prevede, per i 75mila immigrati, alloggi, lavoro, assistenza sanitaria e obbligo scolastico ai profughi, a condizione che rispettino le leggi e la cultura del nostro Paese. Primo tra tutti l’apprendimento della lingua italiana, considerato come un diritto ma anche un dovere.
L'Ue ha messo a disposizione 100 milioni di euro, le altre risorse necessarie arriveranno da quei finanziamenti europei dedicati all'assistenza e all'accoglienza degli stranieri.
Altro aspetto del Piano è l’attuazione del “Patto con l’Islam” a livello locale per promuovere attivamente il dialogo tra le religioni. E dunque “le moschee siano aperte alla partecipazione di tutti i cittadini, oltre a prevedere che, in caso di nuove edificazioni, le fonti di finanziamento, sia interne che internazionali, siano rese note".
Inoltre il ministero dell'Interno intende promuovere "il sostegno alla creazione d'impresa, all'autoimpiego e al concreto inserimento nel settore lavorativo". Per l'assistenza sanitaria, essa è già garantita ai richiedenti asilo, i quali dovranno essere inseriti nella "fascia di popolazione più vulnerabile con particolare riferimento a salute mentale e disabilità, minori, donne, mutilazioni genitali femminili, violenza di genere". Infine il Piano prevede il "potenziamento delle attività di prevenzione con particolare riferimento a vaccinazioni, screening e tutela della salute materno-infantile".
A ben vedere non ci sarebbe nulla per cui indignarsi, si tratta semplicemente di un Piano per favorire l’integrazione e il benessere dei migranti. Ma ciò potrebbe valere solo in un Paese che mette al primo posto, prima di tutto il benessere dei suoi stessi cittadini.
Nel momento in cui è stato presentato il Piano, i cittadini italiani si sono immediatamente espressi contro e si sono detti indignati. Non perché gli italiani siano un popolo di razzisti che non accetta chi proviene da altri Paesi, e non perché siano insensibili alle terribili traversate che i migranti sono costretti a subire. Ciò che indigna gli italiani è il sentirsi abbandonati dallo Stato italiano. In che modo? Per esempio, il Piano nazionale prevede la garanzia per i migranti dell’inserimento nel mondo del lavoro. In questo non c’è niente di male, anzi sarebbe un modo per togliere gente dalla strada. Ma ciò che fa storcere il naso agli italiani è la mancanza della medesima garanzia per i propri figli o per se stessi. Si parla spesso di fuga di cervelli: ragazzi giovani, spesso brillanti, costretti ad abbandonare la propria casa, il proprio Paese, e rifugiarsi all’estero pur di trovare un impiego.
Perché non favorire lo stesso inserimento nel mondo del lavoro anche per i giovani italiani? Dunque, considerato da questo punto di vista, si evince come il problema non sia il fatto di voler dare un impiego ai rifugiati nel nostro Paese, ma il non pensare di garantire lo stesso diritto prima di tutto ai cittadini italiani, che sono figli di questo Paese.
È sotto gli occhi di tutti che l’emergenza migranti in Italia è malamente gestita. La maggior parte delle strategie di accoglienza messe in atto si sono rivelate fallimentari e purtroppo i fatti di cronaca sembrano non far altro che alimentare la diffidenza nei loro confronti dei migarnti. L’ultimo, in ordine di tempo, è successo a Cinisi, dove una decina di extracomunitari minorenni si sono barricati dentro un asilo con due bambini per protesta.
La protesta è nata per la mancata ricezione del pocket money ossia della somma di denaro, qualche euro al giorno, che viene dato dallo Stato agli immigrati per i loro bisogni personali. Il sindaco Giangiacomo Palazzolo si è detto stufo del “business dell’accoglienza” e ora ha chiesto il trasferimento del gruppetto di immigrati. Il sindaco sostiene che questi stranieri non siano effettivamente minorenni: “Dichiarano di esserlo per ricevere maggiori tutele, ma tutti sanno che sono maggiorenni”.
Palazzolo è in disaccordo col sistema dell’accoglienza e afferma che “Lo Stato al bimbo di Cinisi non dà 45 euro come fa con i minori stranieri, eppure io ho bimbi che vanno a scuola senza fare colazione perché le loro famiglie non sono in condizione di garantire loro neppure il latte. Questa cattiva legge non consente di fare vera integrazione e finisce per creare disordini e tensioni. La mia è una comunità aperta e disposta all’accoglienza. Da noi vivono circa 500 extracomunitari su una popolazione di 13mila persone, tutti perfettamente integrati. Oggi, però, chi critica il sistema di gestione dei migranti, evidenziandone falle e distorsioni, rischia di essere additato come razzista”.
Insomma è chiaro come il problema non sia il razzismo o la diffidenza (che spesso, però, giocano un ruolo importante) ma la cattiva gestione da parte dello Stato. Il sistema del pocket money non funziona e non fa altro che alimentare l’odio verso le comunità di migranti.
Sono tantissimi gli italiani che vivono in condizioni di indigenza, senza un lavoro e spesso senza una casa. O come nel caso del comune di Cinisi, dove alcune famiglie non riescono neanche a garantire un bicchiere di latte ai loro figli. Dov’è il Piano nazionale per queste famiglie?
I problemi che riguardano i cittadini italiani sono tanti e sono sotto gli occhi di tutti, ma non bisogna puntare il dito e indicare come capro espiatorio i migranti, anche perché se si guardano i dati il fenomeno non è realmente in crescita, come invece viene spesso presentato dai mezzi di informazione e da alcuni politici. L’Italia, con una quota di immigrati dell’8,2 per cento (5 milioni di persone) è allineata agli altri grandi paesi europei come la Germania (9,3 per cento), il Regno Unito (8,4 per cento) e la Francia (6,6 per cento). Secondo un rapporto realizzato pochi mesi fa, è in calo il numero di migranti arrivati in Italia negli ultimi dieci anni, così come il numero di permessi di soggiorno rilasciati ai cittadini di origine straniera per motivi di lavoro. Mentre i mezzi d’informazione parlano di “invasione”, in Italia nel 2014 sono arrivati 248mila migranti, molto meno che in Germania (790mila arrivi). Se le differenze rispetto agli altri Paesi europei sono così evidenti allora è chiaro che il problema non è la quantità di migranti, ma la cattiva gestione degli stessi.
Altro punto fondamentale e su cui è importante fare chiarezza: gli stranieri non riducono l’occupazione degli italiani, ma occupano le posizioni meno qualificate che nel corso degli anni sono state abbandonate dagli italiani, soprattutto nei servizi alla persona, nelle costruzioni e nell’agricoltura, con una funzione di complementarietà in un mercato del lavoro sempre più polarizzato che tende a offrire agli italiani il lavoro più qualificato e meglio retribuito, mentre gli immigrati tendono a essere impiegati nel segmento meno qualificato, dove il lavoro è prevalentemente manuale, più pesante, con remunerazioni modeste e con contratti non stabili. Le mansioni maggiormente diffuse tra le donne immigrate sono quelle di colf, badanti, cameriere, addette alle pulizie di uffici e commesse, mentre tra gli uomini i lavori più diffusi sono quelli di operaio edile, facchino, cameriere e cuoco, bracciante, autista e saldatore.
Alla luce di ciò è comunque facile comprendere l’indignazione di molti italiani, è facile capire anche il clima di odio e di diffidenza che si sta creando e che non sembra diminuire, considerato che per di più questo fuoco viene spesso alimentato da alcuni politici che basano i loro programmi proprio sulla creazione di divisioni interne tra cittadini e stranieri o tra gli stessi cittadini. Ma non esistono cittadini di serie A o di serie B. Così come non esistono esseri umani di serie A o di serie B. L’accoglienza dei migranti e dei richiedenti asilo è un dovere a cui bisogna adempiere non perché ce lo impone l’Europa, ma perché ce lo suggerisce la nostra coscienza di uomini e donne. Non possiamo lasciare che l’odio e la diffidenza abbiano la meglio.
Tornando al Piano nazionale per l’integrazione dei rifugiati, esso potrebbe essere ben attuato se prima fosse previsto un Piano equivalente per i cittadini italiani. Inoltre andrebbero sicuramente rivisti alcuni punti, come il rispetto della cultura del nostro Paese come garanzia dell’accoglienza: come si misura il rispetto della cultura di un Paese? E soprattutto, chi si potrebbe occupare di verificarne l’effettivo adempimento? Viste queste premesse, il Piano di accoglienza non sembra avere una buona prospettiva di funzionamento.
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