Fuggire, dire addio a casa, amici e famiglia. Essere chiamato con un altro nome, in un paese sconosciuto, una fuga alla Pascal per inventarsi una nuova vita. Questa la sorte dei testimoni di giustizia e dei pentiti di mafia, coloro che scelgono di voltare le spalle alla criminalità con coraggio sotto la protezione delle forze statali.
Questa però è una storia diversa. È la storia di un giovane ragazzo, testimone di giustizia, che da un paese del nord Italia, ha voluto riprendere il percorso di studi intrapreso all’Università degli Studi di Palermo presso la facoltà di Agraria.
Il giovane ha, così, scritto al vicario di competenza per chiedere di completare gli studi interrotti prima di cambiare vita: “Buongiorno professore Vito Ferro – ha scritto il giovane il 17 ottobre scorso – sono un suo studente di alcuni anni fa. Molto probabilmente si ricorderà di me. Le sto scrivendo per chiederle di aiutarmi a risolvere un problema che da tanto tempo ormai ho fatto finta di non vedere, ma che adesso ho deciso di affrontare: vorrei finalmente completare il percorso di studi che qualche anno fa ho lasciato a causa di eventi drammatici che hanno coinvolto tragicamente la mia vita, visto che per seguire mia moglie e per amore di giustizia ho dovuto lasciare la Sicilia, i miei genitori, l’Università e tutto ciò che comporta, scegliendo di entrare nel programma di protezione speciale”.
E l’Ateneo si è messo subito in contatto con il servizio centrale di Protezione dei testimoni per concordare le modalità di espletamento degli ultimi 5 esami utili a completare la laurea: “Bisognava metterlo in condizione di sostenerli senza dover rischiare la propria vita – dice Ferro – e ciò poteva avvenire soltanto sostenendo le prove in videoconferenza”. Il servizio centrale di Protezione ha, infatti, messo a disposizione locali, funzionari e collegamento Skype per lo svolgimento degli esami secondo le modalità stabilite dall’Ateneo, che ha anche predisposto una opportuna modalità di verbalizzazione degli esami”.
Esami in videoconferenza, dunque, messi in moto da una complessa macchina amministrativa per la sua sicurezza, ma intanto il lieto fine di una lunga e incidentata storia arriverà a ottobre, quando diverrà dottore in Scienze forestali e ambientali.
Diligente studente modello, in otto mesi, il giovane ha sostenuto i cinque esami che gli mancavano per il completamento del piano di studi. Per il rettore, si tratta di una nuova sfida “per dimostrare che l’Università di Palermo assiste i suoi studenti anche in condizioni che esulano dalla normalità e che risentono del contesto territoriale siciliano”. Il 23 luglio, a esami conclusi, il giovane ha inviato una nuova lettera al prorettore, per ringraziarlo e per chiedergli di raccontare la sua storia, pur rispettando l’anonimato.
Così recita il testo: “Vi volevo descrivere l’altra faccia della Sicilia che non è soltanto criminalità organizzata e omertà, come molti pensano – scrive lo studente, ormai laureando – ma contiene meravigliosi paesaggi che vanno dal mare alla montagna, che offre mete turistiche piene di storia e di cultura, ma soprattutto ospita persone splendide dotate di onestà, intelligenza e senso di giustizia, in grado di diffondere legalità e solidarietà. È bastato soltanto accennare la mia situazione e l’impossibilità di recarmi all’università che l’Ateneo di Palermo ha subito hanno emanato un decreto per farmi svolgere gli ultimi esami in modalità videoconferenza. Direi un decreto unico e personale dal momento che sono il primo e l’unico studente in Italia a sostenere gli esami in questa modalità particolare”.
Perché la giustizia comincia dall’istruzione, perché lottare significa battersi per i propri ideali, perché la Sicilia non è solo criminalità ma anche opportunità, questa è una storia su cui riflettere con ammirazione.
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