La steatosi, detta “fegato grasso”, è una condizione molto diffusa e consiste nell’accumulo eccessivo di grassi, specialmente trigliceridi nelle cellule epatiche in forma di vescicole.
La causa solitamente è determinata dall’abuso di alcol (steatosi alcolica) ma è anche diffusa tra le persone che ne assumono in quantità molto modesta (steatosi non alcolica). Le bevande alcoliche contengono percentuali variabili di alcol che vengono indicate sulle etichette: ad esempio, nel caso delle birre tale valore è compreso tra il 4 e il 10%; nei vini, varia dal 10 al 18%; nei liquori il valore si aggira tra il 35 e il 45%. Ciò significa che se un liquore riporta sull’etichetta il valore 40%, in 100 ml di esso vi sono 40 grammi di etanolo. Pertanto un’assunzione modesta, non dannosa, di alcol (meno di 20 g al giorno per le donne e 30 g al giorno per gli uomini) corrisponde in media a 300-400 ml di birra, 200-300 ml. di vino, 40-60 ml di un superalcolico. La malattia compare frequentemente dopo i 40 anni ma molti studi dimostrano che è possibile rilevarla anche nell’infanzia ed è molto frequente nei bambini in eccesso ponderale.
La diagnosi clinica è difficile poiché la quasi totalità dei pazienti è completamente asintomatica, occasionalmente è possibile osservare solo un lieve aumento di alcuni enzimi epatici (le transaminasi, la fosfatasi alcalina) e il volume del fegato. L’esame ecografico mostra un fegato “chiaro”, definito brillante (“bright liver”), a un’indagine ecografica spesso effettuata per altri motivi. La malattia corrisponde a varie alterazioni strutturali del fegato che vanno dal semplice accumulo di grasso nelle cellule a un processo infiammatorio definito “steatoepatite” nel quale l’accumulo di grasso si associa a un’infiammazione che può determinare nel tempo lo sviluppo della cirrosi, anche se ciò succede raramente.
Gli acidi grassi liberi normalmente circolano tra il fegato e il tessuto adiposo periferico senza alcun apprezzabile accumulo di lipidi nelle cellule del fegato. Il flusso d’acidi grassi liberi verso il fegato può essere scaturito da tre fonti: 1) nel tessuto adiposo periferico i trigliceridi possono essere enzimaticamente idrolizzati da un enzima (la lipasi ormone-sensibile) in glicerolo-3-fosfato e acidi grassi liberi. 2). I trigliceridi della dieta sotto forma di chilomicroni, sono idrolizzati dall’enzima lipoproteina lipasi e trasformati in acidi grassi liberi 3) una terza fonte è rappresentata dalla sintesi endogena degli acidi grassi che normalmente ha un’importanza minima in condizioni di normale alimentazione. All’interno di queste sequenze metaboliche vi sono numerosi punti sotto il controllo ormonale. L’insulina, per esempio, esercita un effetto anti-lipolitico inibendo la lipasi ormono-sensibile, riducendo così il flusso d’acidi grassi liberi al fegato. Il fegato grasso si associa a una serie d’alterazioni come l’accumulo di grasso sull’addome e nel distretto viscerale profondo (obesità viscerale), un aumento delle LDL (la frazione cosiddetta “cattiva” del colesterolo), l’ipertrigliceridemia, il diabete di tipo 2, l’ipertensione arteriosa e la resistenza dei tessuti periferici all’insulina che determinano un aumento della morbilità e della mortalità per malattie cardiovascolari come l’infarto e l’ictus.
Per evitare l’innescarsi di una serie di conseguenze che possono esser anche gravi, è importante modificare immediatamente lo stile di vita (alimentazione, attività fisica) e curare le patologie associate.
Sono spesso associati alla steatosi epatica l’obesità, il sovrappeso e il diabete, ma in particolare è la distribuzione del grasso che sembra provocare un aumento della morbilità e mortalità cardiovascolare (infarto, ictus). La resistenza all’insulina determina una serie di reazioni che portano alla comparsa di steatosi epatica, in particolare le cellule epatiche diventano incapaci di utilizzare correttamente il glucosio.
La diagnosi di steatosi epatica si fonda sul risultato di un esame ecografico che consente di evidenziare la steatosi con un certo grado di precisione, infatti in ecografia il grado d’ecogenicità di un tessuto, cioè l’intensità degli ultrasuoni che quel tessuto è in grado di riflettere, era già noto dipendere dal contenuto di grasso ma la valutazione qualitativa era troppo soggettiva, variabile da operatore a operatore. Spesso sovrastimava il grado di steatosi dovendo l’operatore aumentare l’intensità del segnale ecografico per aumentare la penetrazione in profondità degli ultrasuoni e compensare l’attenuazione dovuta all’aumento di spessore del pannicolo adiposo e alla maggiore profondità dell’organo da esaminare. Per tale motivo è utile utilizzare il rapporto dell’ecogenicità del tessuto epatico con quella di un parenchima di riferimento posto alla stessa profondità e, nello spesso paziente, rappresentato dal parenchima del rene destro. Tale rapporto d’ecogenicità tra i due parenchimi è già normalmente utilizzato nella pratica ecografica di routine per una valutazione soggettiva della steatosi. Il rapporto tra l’intensità dell’ultrasuono riflesso dai due parenchimi (fegato/rene) si è dimostrato altamente correlato con la quantità di grasso presente nel fegato. In particolare, un rapporto fegato/rene superiore a 2,2 identifica i soggetti steatosici e ogni aumento di un’unità di tale rapporto corrisponde a un aumento del grasso epatico di circa 30 mg/gr di tessuto.
Prof Fortunato Arena
Specialista Radiologo
http://www.arenaradiologia.com/
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