Gli imputati eccellenti Totò Riina e Leoluca Bagarella (nonché l’ex Ministro Mancino) non potranno assistere alla testimonianza del Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, che sarà resa dallo stesso all’udienza che si celebrerà il 28 ottobre, nell’ambito del cosiddetto processo sulla trattativa Stato – mafia.
Questa è infatti la decisione adottata con ordinanza, non immune da critiche, dai giudici della Corte di Assise di Palermo, presieduta dal Dott. Alfredo Montalto.
Ma perché il Giudici si sono espressi in tal senso, impedendo di fatto che gli imputati possano partecipare all’udienza?
Semplice, quest’ultima, verrà celebrata al Quirinale, unica sede in cui il capo dello Stato può rendere testimonianza secondo quanto disposto dall’art 205 c.p.p. (il quale statuisce che la testimonianza del Presidente della Repubblica e' assunta nella sede in cui egli esercita le funzioni di Capo dello Stato), e tale sede, secondo la Corte di Assise gode di una “immunità” che impedisce la presenza degli imputati.
Nell’ordinanza, infatti è dato leggere: "Rileva innanzitutto un profilo di carattere generale e di natura costituzionale connesso all’immunità della sede in cui deve essere compiuto l'atto (Corte Costituzionale n 1/2013) che impedisce, ad esempio, anche l'accesso delle forze dell'Ordine, e quindi al giudice di disporne, con la conseguenza che non sarebbe possibile ne' ordinare l'accompagnamento di un imputato detenuto con la scorta ne', più in generale, assicurare l'ordine durante l'udienza, cosi' come avviene nelle udienze che si svolgono nelle aule a ciò preposte”.
Questo per la Corte il primo motivo di esclusione del pubblico e degli imputati.
I Giudici hanno poi proseguito : “Invero, quanto all'esclusione del pubblico va osservato che il principio della pubblicita' del giudizio non ha valore assoluto potendo cedere in presenza di particolari ragioni giustificative, purche' tuttavia obiettive e razionali (Corte Costituzionale n. 212/1986) e, nel caso del dibattimento penale, collegate all'esigenza di tutela di beni a rilevanza costituzionale (Corte Costituzionale n12/1971), …”.
Quindi ad avviso dei giudici il principio di pubblicità del processo soccomberebbe in presenza delle esigenze connesse alle speciali prerogative di cui gode la Presidenza della Repubblica.
Ma non si rischiano eccezioni di nullità del processo che potrebbero essere avanzate in seguito dalle difese?
Ben consapevole di ciò la Procura della Repubblica di Palermo aveva dato parere favorevole alla partecipazione all’udienza degli imputati Riina e Bagarella attraverso la videoconferenza (che permette la presenza a distanza degli imputati dal carcere ove sono detenuti) .
In effetti, potrebbe palesarsi una violazione dell’art. 178 c.p.p che prevede il diritto dell’imputato di intervenire personalmente in udienza.
Tuttavia, la Corte di Assise sempre nella propria ordinanza ha statuito che le norme sulla videoconferenza non possono essere applicate in quanto queste ultima e' prevista dall'articolo 146 bis c.p.p. soltanto per le attività svolte nell'aula di udienza (così come si ricava anche dal comma 6 che equipara il luogo in da cui l'imputato si collega, appunto, all'aula di udienza) e non anche per le attività processuali da svolgersi al di fuori di essa.
Ma se mi è consentito esprimere un parere, il processo potrebbe ulteriormente essere viziato anche da un’altra circostanza.
I Giudici, per dirimere la questione, sui vari se e come inerenti la testimonianza del Capo dello Stato hanno mutuato l’art. 205 del codice di procedura penale il quale si applica nel caso di esame “a domicilio” dei testimoni.
In particolare, e qui potrebbe nascere il problema, il comma 2 del su citato articolo recita:” “L'esame si svolge con le forme previste dagli articoli precedenti, esclusa la presenza del pubblico. L'imputato e le altre parti private sono rappresentati dai rispettivi difensori. Il giudice, quando ne è fatta richiesta, ammette l'intervento personale dell'imputato interessato all'esame”.
Orbene, in primis, l’articolo prevede l’esclusione del pubblico; in secondo luogo, l’articolo è chiarissimo anche su un altro punto e cioè che quando l’imputato ne faccia richiesta il Giudice non può non ammettere il suo intervento.
Per ultimo e facendo un passo indietro, va osservato che la partecipazione degli imputati mediante videoconferenza non avrebbe reso necessario il presidio del Quirinale da parte delle Forze dell’Ordine, cosa che in effetti è vietato dalla legge.
Tante le questioni giuridiche per una testimonianza che ha per oggetto una lettera che vanne inviata al Presidente Napolitano dal suo consigliere giuridico Loris D'Ambrosio nel giugno di due anni fa.
In quest’ultima D’Ambrosio pur ribadendo la propria correttezza, si diceva preoccupato di essere stato usato come “ingenuo e utile scriba” di “cose utili a fungere da scudo per indicibili accordi” nel periodo tra il 1989 ed il 1993.
Giova ricordare che in quegli anni, D'Ambrosio era stato in servizio all'Alto commissariato per la lotta alla mafia ed in seguito al ministero di Grazia e Giustizia.
Avv. Filippo De Luca
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