Spente le luci della festa e degli auspici ed imboccate le prime settimane dell’anno nuovo, un opinionista che voglia interpretare gli umori della gente comune o il pensiero che vige al di fuori degli apparati sostenuti dalla stampa prezzolata, si trova a corto di motivazioni; in quanto osserva che quasi tutti i problemi che c’erano prima si ripresentano uguali se non aggravati e meno risolvibili. Uguali allo scorso anno sono uomini e cose, per cui sembra non ci sia nulla di nuovo da dire, da suggerire o da discutere.
In effetti il panorama della politica nostrana è sempre quello di cui ci siamo lamentati: essa cioè non esprime proposte in quanto nutrite da qualche idea originale a pro del progresso del paese, ma è solo teatro di uomini-comparse che vogliono prevalere o che vogliono acquisire e soprattutto conservare il posto di privilegiati. Sicché i problemi che toccano alla politica e che urgono nel paese sono utilizzati come motivi di gara a chi promette più e meglio soluzioni a prescindere dalla loro logica e consistenza, e con preordinata irresponsabilità. Si veda, giusto per fare un esempio, il problema della crisi del mondo del lavoro: è vero che esso esige oggi primaria attenzione, ma non è nella logica delle cose proporre questa o quella soluzione di accomodo, non tenendo conto di quel che è al fondo, cioè che detta crisi è sistemica, ha ragioni di carattere epocale che vanno oltre le competenze di una volta. Per cui, continuando nell’esemplificazione, non è discutendo la legge Fornero (che fu per mettere una toppa ai conti pubblici) che si risolvono i guai dei pensionati, o che vengono fuori i posti di lavoro che non ci possono essere, battibeccando con il si e il no al famigerato Jobs act. Perciò in questi giorni preelettorali si grida su cose al di là della solubilità reale dei problemi e si accavallano proposte in cui nessuno può credere e più i politici gridano più la gente si dispone a snobbarli.
Viviamo in sostanza un fenomeno di carenza di pensiero, di crisi di logica plausibile, che riteniamo caratterizzi la vicenda umana contemporanea, sia a livello nazionale che a livello internazionale. Infatti altro esempio viene da quanto accade a livello europeo: si afferma continuamente che non ci può essere salvezza futura senza l’unità tra gli Stati europei, ma non si fa quasi nulla perché questa in qualche modo si definisca; anzi, a parte le continue riunioni con dichiarazioni di patti convergenti, in realtà si procede con una logica contraria: s’instaurano rapporti e trattative tra i paesi, a due a due, parziali e concorrenti; ogni Stato poi bada con puntiglio alla tutela dei propri confini e dei propri interessi, anzi soprattutto ciascuno corre a fare affari per conto suo e per lo più e molto volentieri a scapito l’uno dell’altro. Si parla sempre di interessi francesi, d’interessi tedeschi, spagnoli e così via, poco o niente d’interessi europei, quando non siano quelli esosi e impopolari di Bruxelles. Sicché anche il problema dei migranti, che è il più preoccupante del nostro secolo, e che investe particolarmente l’Europa, ne rivela di fatto la sua inadeguatezza. Si nota come l’Italia sia lasciata sola ad arrancare sul dramma in atto e come non vengano dagli Stati confratelli che stentata solidarietà e qualche elogio ipocrita. È chiaro che assisteremo ancora a sbarchi continui sulle nostre coste, a orribili naufragi, mentre il problema resta incancrenito al suo fondo, consegnato ad un pietismo umanitario e televisivo che lo rende falso nella sostanza e insolubile nella pratica. Si continuerà a predicare il dovere all’accoglienza dei miserabili, coprendo in pratica la delinquenza organizzata che ha impiantato e fa funzionare la redditizia industria dei miserabili.
Insomma nella ufficialità delle vicende del tempo si vede quanto rende l’uomo comune diffidente del modo di affrontarle e verso chi è deputato ad affrontarle. Eppure, a ben riflettere, forse non c’è altro modo che le cose vadano diversamente da come vanno e sono condotte. Dunque non pare possibile che in prospettiva di nuove elezioni, non si venga a volgar rissa tra i vari pretendenti alle poltrone del potere; che non sorgano partitini nuovi per ovviare alle esclusioni; che non si assista ad un plateale promettere la luna nel pozzo da parte di questo o di quel leader, al loro bambinesco rinfacciarsi reciprocamente dichiarazioni ed accuse. Perché quanto si svolge nella ufficialità del presente, con la diffidenza dell’uomo comune che appunto ne consegue, sta al di fuori, non nel conto della realtà effettuale in cui l’epoca si dibatte. Riflettendo su questa si scopre che in fondo viviamo una fase di crisi della democrazia come dottrina guida del fare politica. I partiti sostengono personaggi, per lo più insignificanti, ma non più idee destinate a pilotare qualche svolta culturale utile a caratterizzare in progresso il tempo; né oltretutto possono produrne o alimentarne, giacché non esiste più vera dialettica tra potere ed opposizione da quando la sinistra ha cessato appunto di essere opposizione, il che era suo compito e ragione del suo essere. E senza quella dialettica non può sussistere vita democratica propulsiva a fronte di problemi teorici e pratici qualsivoglia, ma vengono solo inciuci.
E in quanto a politica estera, non possono che condursi falsi rapporti tra gli Stati, se questi non costituiscono una diversa compatta unità rappresentativa, mentre nello stesso tempo non sono più pienamente autonomi come tali e perciò resta loro da sopravvivere, come tali, solo economicamente, ciascuno come meglio può.
Ecco, di questo bisogna almeno prendere coscienza: che la filosofia di un’evoluzione storica ancora non arriva né si cerca, per cui gli anni passano e non cambia molto di quanto si agita nella pentola dell’accadere. La gente avverte lo stantio, ricusa, protesta o si estranea. I mercanti di esseri umani continueranno a fare affari, l’Europa proclamerà la sua unità un giorno si ed uno no, la povertà non turberà la ricchezza dei pochi, i politici continueranno ad inventare formule elettorali per limitare la libertà dei votanti e conservare meglio seggi e privilegi; il tutto nel solito brodo detto ancora democratico, con la sola speranza che esso non diventi del tutto rancido.
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