Chi sa cosa possa passare per la mente della gente comune, cioè di quelli che lavorano, sostengono le mansioni giornaliere, reggono gl’impegni, a fronte del panorama che offre oggi la vicenda sociopolitica mondiale, europea, ma particolarmente quella italiana. Giacché si è visto e si sta vedendo di tutto. Non parliamo degli episodi terroristici che, tra un funerale e l’altro, sconvolgono la quiete consumistica di nazioni e città, ma di quanto subdolamente sta mettendo in forse l’ordine democratico in cui siamo cresciuti e a cui siamo avvezzi. E di questo non pare ci sia adeguata consapevolezza.
Vediamo il caso Italia. La prima cattiva impressione viene dagli atteggiamenti e dal linguaggio di uomini che fanno parte delle istituzioni e non stanno più in linea col prestigio e la dignità che esigerebbero i loro ruoli. Il che denota l’insufficienza, nel nostro tempo, di personalità che diano lustro ai sistemi democratici, primo sintomo questo di crisi dei detti sistemi. Triste percorrere le cronache recenti.
In pratica abbiamo visto i nostri uomini di governo ergersi a critici e innovatori dell’unità europea per poi ridursi come i fanciulli che hanno rubato la marmellata difronte agli esponenti della Commissione europea, che li hanno rimbrottati e minacciato di castigo: la famigerata procedura d’infrazione. L’Europa del pil e delle banche fattasi intransigente. Con l’occasione si è visto pure un certo Moscovici che, con mezzo sorriso ipocrita, discuteva su un possibile accordo, ma contemporaneamente dichiarava ai quattro venti mediatici il suo dissenso preventivo. E farà poi non poca impressione sapere che i nostri ministri siano rimasti settimane intere su settimane a dibattere fino allo sfinimento per un accordo, dimostrando di essere divenuti nient’altro che una controparte di una istituzione ostile. Cioè non parte dell’istituzione ma controparte in sudditanza. Per cui rimaneva la domanda se questa è una specie di Europa unita che si può amare. Perché qui starebbe il problema. E’ giusto e corretto che ci siano regole comunitarie da applicare e rispettare, ma se capitano eventi che richiedono eccezioni, e l’Italia come la Francia ne hanno più di uno, l’istituzione europea unitaria che fa, manda i suoi membri in malora? E’ che ad ogni piè sospinto finisce per emergere l’errore di fondo: quello di aver voluto creare un organismo ibrido, cioè la moneta unica di un’unità europea inesistente e quindi la coazione ad un livello di economia tra i diversi stati in funzione di un equilibrio, tutti al passo dei più ricchi, che purtroppo è impossibile. Sicché abbiamo un sistema di rapporti europei con al centro Bruxelles che non sempre funziona per il bene dei cittadini europei, ma dal quale non si può più tornare indietro. Così come pure abbiamo in Italia un governo nato dal fallimento del giovanilismo innovatore, quello dei rottamatori, con altri soggetti guida, impuntatisi su più spericolati propositi di cambiamento; in sostanza un governo che risulta già in difficoltà, ma che al momento non prevede alternative. Insomma Europa ed Italia vivono nella parossistica situazione di dovere sostenere uno stato di cose sbagliato da cui però non possono uscire senza rischiare il baratro. E’ da questa situazione che deriva come una condizione di nevrosi con cui procede l’andazzo della politica, particolarmente in Italia. Ed è soprattutto nevrosi di fondo quella con cui i governanti sono stati costretti a venire a patti con Bruxelles, a farlo con fretta antiparlamentare, alla spiccia; ed è stata nevrosi la cagnara di reazione dell’opposizione alla manovra, stante il vuoto cui s’ispira il suo eloquio corrivo e l’impossibilità che si possa fare altrimenti.
E’ una situazione questa che spiega il degrado della politica dei nostri giorni, la sua apparenza spesso scollacciata e facilona, tutta intenta a vagheggiare rivoluzioni epocali, sovranismi o recuperi di un prestigio impossibile, giacché grava l’interferenza globale delle ragioni economiche nel mondo e vige il degrado del livello culturale di chi sta sulle poltrone di comando, come sopra abbiamo premesso.
Bisogna dunque saper guardare in faccia le cause profonde dello stato delle cose. Forse non è strano avvertire che stiamo attraversando un’epoca di grande stanchezza di tutto il buono che il progresso industriale postbellico ci aveva regalato, a noi e all’Europa, dopo che essa aveva deposto le armi della sua distruzione. Detta stanchezza può determinare fermenti funesti nei sistemi democratici ove, tra l’altro, vige un criterio di crescita che esclude quanto è civismo e cultura progressiva, privilegiando l’affarismo sordido, generatore di dislivelli sociali. E si dimora in un vecchio Occidente, di cui l’Italia è anello debole, che con i suoi apparati democratici, appunto stanchi e logori, non si sa quanto possa resistere agli assalti di fenomeni incontrollabili, quale è oggi quello drammatico e infinito dei flussi migratori.
Ed oggi che il nostro Governo, la cui decenza è salva appena dalla dignità del giurista Conte, vive ipotecato spavaldamente da due vicepresidenti in continua campagna elettorale, in fondo non fa che obbedire alla partitocrazia (il movimentismo non cambia di molto), la quale annulla praticamente la democrazia. Infatti fare politica oggi non è tanto assumere la cura degli interessi, delle esigenze umane del paese, quanto occupare più seggi in Parlamento, e con i seggi in più potere avere in mano il poco che rimane da gestire nell’attuale contesto epocale. Sicché ci si potrebbe occupare dei due soli problemi possibili, quello a più facce del mondo del lavoro e quello della corruzione; invece si pensa solo ad elezioni e si accampano promesse e progetti di cambiamenti storici peregrini dai quali non possono venire che aberrante conflittualità e confusione. Ed è quanto teme chi ancora vuol credere alla tutela dei valori individuali nella società e per la quale ancora formula auguri e speranze.
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