…Ci sono due specie di amore.
Il primo […] si costruisce giorno per giorno. È buono, duraturo, una scelta condivisa da entrambi.
Ma c’è un altro amore che nessuno sceglie e nessuno vuole. È benedetto e maledetto. Decide quando investirti con tutta la sua forza e quando andarsene. Da quello non c’è scampo.
Diego Cugia
Un Tango alla fine del mondo struggente, un viaggio nel tempo tra la Sicilia e l’Argentina, terre che hanno raccolto le miserie, le atrocità, le speranze, la solitudine, gli orrori e le illusioni di generazioni di gente in movimento. É il romanzo di Diego Cugia che racconta palpiti, passioni, odio e amore che, come in un giro di tango, inseguono sogni che si dipanano tra pura sensualità e disprezzo, e potenza di riscatto. Dunque sentimenti travolgenti si mescolano fra di loro inseguendo il ritmo di un tango appassionato in quasi tutte le pagine del romanzo.
Dopo aver accettato le scuse dell’autore, da buona “paliemmitana…” mi limiterò ad alcune osservazioni. Un’analogia con i nostri tempi di immigrazione è quasi impossibile. Questo romanzo, infatti, oltre alla sentita partecipazione di un tango desiderato e sofferto, lascia spazio ad un’interpretazione di un tempo, per fortuna non vissuto ma soltanto immaginato, seppur da remoto, attraverso i film o le pagine dei libri di storia, ormai scomparso come inghiottito dal nulla esistenziale… e, soprattutto, dalla mancanza di ideali. Oggi l’immigrato ha il tablet, il whi fi, lo smartphone, l’hotel, e una diaria voluta dai governanti di una Europa (DIS)unita e che fa acqua da tutte le parti. E pertanto non ha che sogni rassegnati ad una mera e squallida sopravvivenza. Non cerca il riscatto, forse odia, ma di un odio rappresentato dalla politicaglia senza tricolore. Non potrà mai somigliare, nella ricerca della propria fortuna, a Michele Maggio o alla madrina Diana o allo stesso don Tano, il personaggio più scomodo ma, nel contempo, il più rilevante con Diana per la trama dell’opera narrativa di Cugia. Per fortuna, certo! Tuttavia è la mancanza di ideali che fa la differenza di questi nostri giorni. La potenza della narrazione sta proprio nella riscoperta di questi sepolcri imbiancati dalla tecnologia e dall’appiattimento delle varie sensibilità. Tenendo ben presente che si tratta di un fantasioso romanzo, dove in effetti ci potrebbe essere solo una parziale corrispondenza con la realtà, c’è da osservare però la pienezza di sentimenti e delle reazioni che, tuttavia, sembrano appartenere perlopiù alla cultura occidentale (meglio ancora se quest’occidente ha profonde radici meridionali), dove potrebbe realizzarsi la bellissima frase del romanzo che inneggia alla speranza di un ricco futuro: “Un giorno sarà un tempo più giusto, foderato di lamè, come il mantello del tango. Un tempo senza oblio”. E non semplice conservazione della specie.
La scrittura sapiente è l’ossequio ad una raffigurazione di arabeschi di parole e musica, intrise nel ritmo incalzante delle figure del tango del bandoneón; dell’insaziabile sensualità; delle lotte con i liccasapuni; e nelle stesse espressioni dialettali: per la verità pienamente comprensibili soltanto da chi ha radici nel profondo meridione. Di sicuro a Milano non ci potrà mai essere un sentire così vivo e perverso.
Mi sono sentita un po’ selvaggia come Diana, un po’ dolce come Olivia e un po’ regina come Blanca. Tre donne con tre personalità diverse, ma accomunate dal vivo sentimento dell’amore e dalle esplosive pene che la vita ha loro riservato, tanto vive da coinvolgere quasi un’immobile ed estatica lettrice alla luce di una notturna abat jour, e con la musica nel cuore. É un romanzo che a volte appare inverosimile, ma che tuttavia riesce infine a restituire, anche se con dolore e tormento, il riscatto della vita. Di una nuova vita.
Marina De Luca
Il tango fece il suo dovere.
Lui avanzò di un passo, lei gli voltò la schiena.
«Vuoi dirmi come ti chiami?»
«Meglio di no.»
«Posso toccarti?»
«Devi.» Alzò il braccio a collo di cigno.
Lui le sfiorò la punta delle dita. Lei roteò su una frase di bandoneón.
Si fronteggiarono in un duello di sguardi.
Il corpo di Michele la rifiutò, quello di lei lo attrasse, intrecciarono le dita e arretrarono di un passo.
Disegnarono con i piedi la complessa geometria di un amore.
Diego Cugia
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