Se un uomo di pensiero oggi cerca di individuare di questa nostra epoca quel che la caratterizza, cioè quegli elementi che consentiranno di definirla nella storia, dovrà prima di tutto liberarsi dall’ubriacatura del progresso tecnologico in cui giace sommersa. Non lasciarsi quindi ingannare da un’euforia di progresso che invece non c’è, giacché quando si parla di epoca il progresso va misurato sulla tenuta di ciò che è divenuto universalmente più ricco nello spirito dell’uomo e non su gli strumenti più perfetti per i suoi vari usi. E ovviamente è da tenere sempre in considerazione il fatto che gli eventi di un’epoca in fondo non sono che occasioni su cui ci si arrovella per seguire un tracciato che poi nella storia risulta quasi misteriosamente già disposto. Se così non fosse non avremmo il ripetersi dei vizi soliti degli uomini, quelli di correre dietro agli affari ad ogni costo e per gli affari far guerre e infliggere devastazioni.
Neanche la nostra epoca ne è immune, anzi, a ben osservare, ne è stata e ne è particolarmente presa sì che non pare ci sia epoca più colpevole della nostra in fatto di guerre per prepotere e per affari, con l’aggravante che nella nostra epoca si aggiunge l’ipocrisia di fingere di disporre di moderni strumenti di pianificazione degli attriti tra i popoli e di globale ricerca del benessere: quindi oggi è diffusa un’idea di progresso civile assai sporca dei vecchi vizi, con personaggi di potere assai biechi e con esiti dell’operare ancora più devastanti e drammatici che nel passato.
Per esemplificare, tra le vicende del nostro tempo, viene subito in mente quel che ha fatto Putin, personaggio considerato con riguardo persino dal Papa. Per le mire e gl’interessi della Russia aveva in animo la situazione della Crimea, ed un bel giorno, senza badare a diritti discutibili e trattati internazionali, incurante di ogni incidente diplomatico, manda i carri armati a conquistarla e ora se la tiene tranquillo, alla faccia delle proteste e delle sanzioni di un’Europa imbelle.
Oppure fa assai riflettere la situazione della Libia, con quel che è accaduto e che sa addirittura di criminalità internazionale rimasta impunita. Infatti lì un Haftar qualsiasi (perché invece i personaggi che fanno la storia sono quelli che non creano guai ma opere durature e per lo più benefiche), dopo lo sfacelo del regime di Gheddafi, si era creato il suo spazio di potere e desiderava estenderlo a tutto il paese. Ma c’era nella capitale della Libia un altro potere, quello legittimato dall’ONU. Ed è di questo che a un certo punto, l’Haftar se ne infischia e manda i suoi carri armati e i suoi aerei per abbatterlo e sostituirlo, con le conseguenze sanguinose che ancora oggi durano e chi sa quando finiranno, senza che nessuno, neppure l’oltraggiato ONU, lo incrimini come si dovrebbe, anzi con qualche accondiscendenza di governi cosiddetti civili e pacifici (leggi Francia) addirittura scandalosa.
Sono due esempi dai quali si deduce che nella nostra epoca manca del tutto la possibilità di gestire un ordine internazionale che salvi i popoli dalle devastazioni e dalle guerre. Non c’è nessuna specie di Congresso di Vienna che lo imponga, siamo più indietro dell’Ottocento. C’è l’ONU ma, come s’è visto, non è stato in grado d’intervenire ove occorreva, né lo sarà mai in grado in qualsiasi altra vicenda, perché all’ONU sono delegati i politici, ricattati dagli impegni economici, per cui la nostra epoca è dominata dagli affaristi che non hanno alcun freno morale e quindi nessuna cura delle tragedie umane. Inoltre viviamo un tempo in cui l’idea di nazione, non come punto di riferimento di specifiche tradizioni e costume, ma di prevalsa dell’una contro l’altra e di bisticcio, cioè il nazionalismo, non solo non è superata dopo oltre un secolo, ma si è fatta più agguerrita ed è persino diventata sostegno fondamentale delle dittature, anche se rozze e retrograde. La celebrata globalizzazione come valore civico è un fallimento.
Ed è a questo punto e dietro tali considerazioni che si spiega anche lo scandalo della tragedia siriana di questi giorni: tragedia che sa proprio di luridume morale, allorché si constati come il popolo curdo, che aveva combattuto per e a fianco degli Americani contro il terrorismo nella regione, sia stato abbandonato da essi nel momento del bisogno. Sta di fatto che anche in questo caso si è espressa la tracotanza di un dittatore che un aberrante nazionalismo sostiene ed esalta, mentre se la ride convinto di averla sempre vinta. E’ accaduto dunque che Erdogan, il sultano di una Turchia che dovrebbe far parte della civile Europa, ha avuto da sempre il pallino di annientare i Curdi, un popolo che aspira ad avere riconosciuta la sua collocazione geografica; nelle scorsa settimana ha pensato bene di risolvere il problema a modo suo scagliando i carri armati contro di essi in Siria, non curando o ben calcolando le reazioni internazionali. Infatti gli Americani se la sono svignata levando subito le loro tende dalla Siria, e solo cercando in seguito di salvare la faccia con ipocrite iniziative di viaggi diplomatici; mentre gli Europei, certo ricattati dai loro affari turchi, si davano al lancio di moniti e recriminazioni senza unità e senza sugo, come al solito.
Però sulla tragica vicenda in corso un codicillo ci viene di doverlo fare; e riguarda proprio il comportamento degli Americani. Hanno abbandonato i loro alleati di guerra, proditoriamente, come mai, perché? Ecco, noi crediamo di non doverci meravigliare difronte ad un prammatismo che è tipico degli Americani: hanno il più potente esercito del mondo ma se la svignerebbero in ogni caso anche difronte ad un manipolo armato di schioppi, in quanto il combattere, ove c’è pericolo, lo userebbero solo dietro interessi per loro impellenti; possono vendere F35 a tutto il mondo ma perché questo significa affari. E poi, tutto sommato, via, gli eroismi mirabolanti dei soldati americani, ci pare non siano che faccende da cinematografo. Come del resto quello spacconismo texano che Trump impersona bene. Lo si annoti.
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