Otto fotografi indagano sul tema del genere mettendo al centro della ricerca l'identità dell'essere umano e diversi momenti della sua esistenza. Gli scatti sono 15 e, sviluppati e stampati in grande formato, sono l'allestimento artistico del Palermo Pride Village 2018 in piazza Croce dei Vespri. La mostra resta visitabile, gratuitamente, fino a domenica 23 settembre.
A partecipare al progetto sono Desideria Burgio con il suo doppio ritratto “Maziar / Maziar” e “Maziar / Maziar”, Francesco Paolo Catalano con due fotografie dedicate alle espressiono della moda, “Eclisse (Patty Owens)” e a un viaggio nel tempo nella Palermo degli anni Ottanta, “Domenica Pomeriggio”. In bianco e nero e pers* tra i boschi c'è la degenerazione secondo Alberta Cuccia, dal titolo “Rrose”. Un taglio che più si avvicina alla cronaca è quello di Francesco Faraci che espone due foto del più ampio progetto “Le Belle di San Berillo” e l'indagine sul genere e sulla degenerazione, legata al tema del Palermo Pride 2018, “de*genere” è contaminata dal quella sul tema dell'etnia e del sociale con lo scatto di Marco Fato Maiorana “Adam” che espone anche “Trust Game”, un gioco sulla fiducia. Linguaggio solo apparentemente simile a quello di Paola Schillaci nella sua “Mio re, mia regina” che è allestita insieme a “Le faremo sapere”: un fermo immagine evocativo e che presenta l'ancora distorto meccanismo di potere contemporaneo che vede un ragazzo padre dover fare i conti con l'impegno familiare e quello lavorativo. Angelo De Stefani presenta la coppia di ritratti “Ancora Tu” e “Dimmi”: due fotografie che si leggono insieme e che insieme conservano e rivelano la doppiezza del genere – e del sesso – nel femminile e nel maschile. “Specchio, specchio delle mie brame” vede il performer e madrina dello scorso Pride Ernesto Tomasini nella doppia identità di uomo e donna, di uomo e figura attoriale, di uomo e riflesso. Lo scatto è di Angelo Macaluso che porta in mostra anche “Angel*”: senza sesso e senza età, l'essere veglia su Palermo guardandola dal mare.
Testo di Ernesto Tomasini
La mostra è fortemente legata all'apparire, sia nel suo significato che nel suo linguaggio: è interamente tesa alla distinzione del sesso con il genere, alla separazione di questi due concetti che, anche se sappiamo essere appartenenti il primo alle categorie biologiche e il secondo alle categorie culturali e sociali, non smettiamo di fare intrecciare e di mescolare fino a farli diventare un'illusione unica e collettiva.
Non nasciamo che maschi o femmine e come maschio o come femmina trascorriamo i nostri primi momenti sulla terra. Possiamo comprendere e scegliere in seguito ciò che voglio diventare: scegliere se diventare uomini o se diventare donne e non solo, non esiste cristallizzazione. La degenerazione non si inceppa nella crescita e nella trasformazione da maschio a donna o da femmina a uomo e ancora da maschio a uomo e da femmina a donna: io posso desiderare di essere continuamente in transizione e come molti transessuali scegliere di non cambiare mai il aspetto esteriore lasciando che sia solo la mia anima a mutarsi. Ecco la differenza tra cntenuto e contenitore. La mia voce, il mio continuo divenire e il mio costante mutamento di sesso culturale così non si cristallizzano mai. Il genere è allora parte della sfera dell'apparire e resta negli occhi di chi guarda.
Le immagini in mostra, nella loro complessa totalità e nelle differenze di punti di vista e soggetti, giocano con i diversi livelli di fruizione innescando un meccanismo di sensazioni: è piacevole e divertita, è un dubbio, è fremito per l'ambiguità ed è tensione per l'androginia. Le immagini in mostra invitano l'osservatore a guardarle più e più volte per essere lette e lasciano indietro a tremare quelle carni che si lasciano intimidire, turbare e inorridire.
L'androginia, che sempre evoca un sentire ancestrale e contrastante, è anche qui seducente e turbante, è un disagio ed è una ricchezza: l'androginia non lascia, mai, indifferenti. E che i bigotti perseverino a guardarla con sospetto, mentre noi ci lasciamo titillare.
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