Da qualche settimana la stampa di opinione si occupa dei problemi del Presidente del Consiglio, cioè del modo come li affronta o li dovrebbe affrontare, visto che attualmente non tutto gli va proprio liscio e la sua sicumera è messa a dura prova anche da vicende giudiziarie che in qualche modo hanno disturbato il Governo. E se ne occupa esprimendo anche qualche perplessità.
Per la verità bisogna prendere atto che nei confronti di Renzi il giornalismo colto non è mai stato del tutto entusiasta, benché non abbia mancato di riconoscergli spirito di iniziativa ed impegno innovativo. E non poteva essere diversamente, visto che è giunto al potere dopo aver fatto fuori irritualmente un suo compagno di partito, ed irritualmente ha preso l’investitura fuori dalla dinamica democratico-parlamentare, ma soprattutto poiché, per sostenersi, punta alquanto sul dichiarazionismo e le promesse d’effetto, oltre che su un eccesso di esibizionismo mediatico. Non c’è canale televisivo e non c’è trasmissione, a qualsiasi ora, in cui non lo si vede comparire e parlare a lungo e in largo. Sono poi notevoli i suoi espedienti trasformistici di ogni tipo, i vari patti del nazareno palesi e segreti in uso, gli accordi con chicchessia per maggioranze di comodo, oltre che l’invenzione tutta borbonica di promettere assegni ai poveri nell’approssimarsi di elezioni. Tutte cose che, ovviamente, generano qualche sospetto ai ben pensanti. E questi è logico che si facciano sentire, specie quando le statistiche denunciano la stagnazione economica, la scarsa crescita rispetto agli altri paesi, il debito pubblico che non diminuisce affatto, come altrettanto la disoccupazione, specie nel sud, ove aziende e negozi chiudono a ripetizione.
La verità è che in Italia la buona volontà non basta per realizzare i sogni del successo politico. E anche un Renzi energico e volitivo doveva prevederlo ed aggiungere a questo la temperie storica che attraversiamo. Egli è giunto al vertice di palazzo Chigi, col solo aver detto a Letta “levati, che io sono più bravo”, il che non poteva accadere se non a due condizioni. La prima essersi procurato gli appoggi di forze o lobby che contano e operano nel sottofondo di ogni potere: finanza o banche, ad esempio, confindustria o grandi imprese, massoneria e logge gay (con tutto il rispetto, ma sono consorterie che contano). La seconda, cercando di ovviare alle vecchie premesse ideologiche che caratterizzavano i partiti e determinavano alleanze ed esclusioni. Quindi, in un partito erede della vecchia sinistra, avvezzo per sua natura ai litigi per il primierato, occorreva liquidare del tutto i residui ideologici, e servirsene solo come base per un sostegno di potere, con la capacità di muoversi liberamente a destra come a sinistra, termini che del resto oggi non contano più. Renzi dunque così ha fatto. Ma questo, col passare del tempo, affievolitisi gli entusiasmi per il nuovo, ha comportato quel che oggi sembra sia il conto che gli si presenta da pagare. Con la conseguente e persistente precarietà di tenuta del governo.
Operatori di affari, grossi impresari, mondo finanziario, pensavano magari di avere facilmente via libera e mano libera, con l’utilizzo impune di appoggi; anche perché, storicamente, da italiani brava gente, la politica la si cerca e la si pratica solo se è amica ad personam e non se deve servire un paese. E non c’è dunque da meravigliarsi perciò se ci troviamo con una gran quantità di opere, che prima erano bloccate dalle liti sotterranee tra chi voleva accaparrarsi gli affari, ed ora, qua e là sbloccate, siano ulteriormente bloccate da inchieste giudiziarie.
A sua volta il governare a nome di un partito di maggioranza, che appunto come partito non vuol dire più nulla, imponeva quel trasformismo che ne condizionava gli obiettivi, o li rendeva inadeguati alle necessità concrete della gente, soprattutto del medio-ceto, di cui alle lobby poco importa; per cui ora, oltre alle ragioni dell’opposizione, si oppongono i livori dei nemici interni allo stesso partito o perché emarginati o perché custodi delle tradizioni ideali della sinistra ormai tradite. Altra causa di precarietà.
A questa situazione di politica interna, si aggiungono i problemi di politica estera, per i quali l’inadeguatezza dell’attuale compagine governativa è parsa più evidente. Sono mancate infatti le opportune iniziative e non si è evitato, per quanto possibile, di portare le cose al punto di inevitabilità, il che dovrebbe essere la prima cura in ogni vicenda di carattere internazionale.
Tre sono stati e sono i casi sul tappeto: la Libia impraticabile che ci manda flussi infiniti di migranti; i Marò eterni prigionieri; Il Regeni barbaramente assassinato in Egitto. Per tutti e tre i casi si è preferito affrontare lo sviluppo degli eventi più con attendismo che con protagonismo. E per tutti e tre i casi siamo alle attese ed alle recriminazioni buone per le bandiere in piazza e con la speranza nei risultati della buonaventura.
Non si è pensato, ad esempio, per la Libia, di indire una conferenza o un convegno a Roma delle parti più forti in conflitto, anche con i capi tribù, con la partecipazione e l’appoggio dei paesi amici, per aprire la via ad un compromesso risolutivo o per confortare diplomaticamente forme di intervento coalizzate, almeno per regolare in loco le migrazioni e stroncare la barbarie degli scafisti e dei ladri dell’accoglienza. Non si è pensato di tirare le orecchie alla Mogherini, la quale, mostrandosi meno italiana, risulta una nullità anche per l’Europa.
Per i Marò ci sono state e ci sono mille ragioni da esibire. Ma, perché non le abbiamo finora esibite in modo da non arrivare al punto morto che costituisce l’attesa di decisioni da tempi astrali, da parte di tribunali astrali, su cavilli giuridici che pongono la questione al di là della realtà logica? C’è stato un incidente a mare, colpevoli o non colpevoli, questi due poveretti sono da anni condannati a stare fuori di casa in terra lontana, senza processo, senza speranza di sapere dove e quando saranno presi in considerazione, al logorio del corpo e dello spirito. Per giunta ora con un tribunale dell’Aia che sentenzia che l’India per ora non ha titolo a trattare la loro causa, ma in India tuttavia devono stare prigionieri (siamo alla barzelletta, altro che giurisprudenza internazionale!). Ebbene, può esistere una situazione come questa dei due Marò in un mondo civile? Come non si è pensato di rendere sensibile in questi termini l’opinione pubblica anzitutto indiana, ma anche mondiale, perché non continui questo sconcio disumano? Come non interessare soprattutto le cancellerie amiche presso le quali si scambiano sorrisi, e prima di passare alle facili strette di mano? E come non interessare anche l’amico Papa che di questioni umanitarie suole intendersi?
Sia chiaro, quando in politica internazionale s’incontra una controparte testarda e soprattutto malata di stupido prestigio da tutelare, è necessario creare attorno ad essa l’isolamento anzitutto a livello opinionistico, in nome delle giuste e dimostrate ragioni; e di conseguenza, in base a queste, vanno finalmente provati e confermati o meno i buoni rapporti tra i Paesi civili e i governi amici. Oltre questo, la politica estera sarebbe fasulla e banalmente faccendiera.
In verità la dignità di un Paese in politica estera si consegue nelle premesse e si va ai punti morti solo in casi estremi, dopo aver bene valutato le conseguenze e la solidità dei rapporti che esso mantiene. Ma ecco che per questo, un paese ha necessità di avere al suo vertice uno statista, la cui signorilità di gestione politica e lo sguardo proteso alle probabilità e alle insidie future del mondo generino fiducia e rispetto. Non pare che l’Italia ce l’abbia. E del resto gli statisti per ora neppure in Europa sono di moda.
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